giuliano

giovedì 23 agosto 2018

L'INFERNO DEI MONACI (con Visioni di vera Bellezza) (27)




















































Precedenti capitoli:

Il figlio dei Lupi (26)

Prosegue in:

Il tempestoso ponte del XXI secolo (28)














Parecchi volumi non basterebbero a contenere tutte le leggende delle Alpi in cui entra il diavolo, e che trovasi specialmente nelle regioni appartenenti all’Italia, alla Svizzera ed all’Austria non meno del Sud Italia.

Ora dirò solo che secondo il concetto che ho potuto farmi sui racconti creati dalla fantasia popolare, che vide apparire Satana sull’immensa catena, si trova in essi, in modo assai spiccato, la grande influenza che l’ambiente ha sull’animo degli uomini.

Dante che aveva in cuore un alto ideale della bellezza nell’arte, ed era avvezzo alla classica forma degli antichi, volle, descrivendo molti demoni, attenersi pure alle credenze sparse da tante leggende popolari; ma non diede neppure a Lucifero la deformità abominevole e triviale, che la figura del diavolo ha con tanta frequenza, in certe leggende ed in molti dipinti del Medioevo.




Gli alpigiani che stanno fra paesaggi grandiosi ed imponenti, e sono avvezzi a vedersi dinanzi la meravigliosa bellezza delle montagne, adattano la figura di Satana all’ambiente che li circonda. Essi lo descrivono quasi sempre come terribile padrone e signore di monti altissimi e di valloni spaventevoli, e danno una grandezza epica alla sua figura gigantesca.

Altre volte se lo mettono in condizione più umile, e fanno vedere la sua malizia infernale vinta dall’astuzia degli uomini, o dal potere soprannaturale dei Santi; la sua figura non è neppur tale da far provare indicibile ribrezzo e nausea a chi può immaginarla secondo il concetto popolare. Ed anche se appare nelle leggende delle Alpi in forma di caprone, di drago, di cavallo, e lupo, basta risalire fino ai miti oscuri delle religioni diverse, per ritrovare l’antica grandezza epica di certe figure, che ricordano il genio del male, il quale doveva essere vinto innanzi allo splendore eterno della Croce….


   

Ben più vario l’inferno veduto dal monaco Alberico in principio del XII secolo, quand’era ancora fanciullo…

…In una valle spaventosa molte anime stavano immerse nel ghiaccio, alcune sino alla caviglia, o sino al ginocchio solamente, altre sino al petto, altre sino al capo. Sorgeva più oltre un terribile bosco, formato di alberi alti sessanta braccia, e irti di spine, da’ cui rami aguzzi e taglienti pendevano per le mammelle quelle triste donne che ricusarono di nutrire del loro latte i bambini orfani di madre; due serpi suggevano a ciascuna il mal ricusato seno. Per una scala di ferro rovente, alta trecentosessantacinque cubiti, salivano e scendevano coloro che nelle domeniche e nelle feste dei santi non seppero astenersi dalla copula, e quando l’uno, quando 1’altro di essi precipitava in una gran caldaia piena d’olio, di pece e di resina, che bolliva da basso. In terribili fiamme, simili a quelle di una fornace, erano puniti i tiranni; in un lago di fuoco gli omicidi; in uno smisurato tegame, pieno di bronzo, di stagno, di piombo in fusione, mescolati con zolfo e con resina, i parrocchiani poco zelanti che tollerarono le scostumatezze dei loro parroci. Si spalancava più oltre, simile ad un pozzo, la bocca del più profondo baratro infernale, pieno di tenebre orrende, di fetore e di strida. Ivi presso era legato con una catena di ferro un serpente smisurato, dinanzi a cui stava, sospesa in aria, una moltitudine di anime; ed ogni volta che traeva a sé il fiato, il serpente ingozzava di quelle anime, non altrimenti che se fossero mosche, e quando emetteva il fiato, le vomitava accese a guisa di faville. I sacrileghi bollivano in un lago di metallo liquefatto, le cui onde si agitavano crepitando; in un altro lago, formato d’acqua sulfurea, pieno di serpenti e di scorpioni, annegavano in perpetuo i traditori e i falsi testimoni. I ladri e i rapinatori erano legati con gran catene di ferro arroventate, e loro pendevano dal collo gravi pesi, similmente di ferro.




Ma di quante descrizioni dell’inferno ci tramandò il medio evo, la più terribile, quella in cui più grandeggia la poesia dell’orrore, e in cui è maggior dispendio di fantasia inventiva, è la descrizione che si legge nella Visione di Tundalo



Sfuggita dalle mani d’infiniti demoni, l’anima di Tundalo, guidata da un angelo luminoso, giunse, attraverso fittissime tenebre, in una orribile valle, piena di carboni ardenti, e coperta da un cielo di ferro arroventato dello spessore di sei cubiti. Sul grande coperchio piovono senza intermissione le anime degli omicidi, e quivi, penetrate dallo spaventoso calore, si struggono come il lardo nella padella, e liquefatte, colano attraverso il metallo, come fa la cera attraverso il panno, e sgocciolano sui carboni sottostanti, dove tornano nel primo stato, rinnovate all’eterno tormento.

Più oltre è una montagna di meravigliosa grandezza, piena d’orrore in vasta solitudine.

Vi si accede per un angusto sentiero, che dall’una parte ha fuoco putrido, sulfureo e tenebroso, e dall’altra grandine e neve. Il monte è pieno di demoni, armati di roncigli e di tridenti, i quali demoni assalgono le anime degli insidiatori e dei perfidi che si mettono per quel sentiero, e le travolgono giù, e con perpetua vicenda le scaraventano dal fuoco nel ghiaccio e dal ghiaccio nel fuoco. Ecco un’altra valle, tanto cupa e tenebrosa che non se ne vede il fondo. L’aria vi mugghia pel rombo di un fiume sulfureo che corre laggiù, e per l’incessante ululo dei dannati, mentre la ingombra un fumo d’incomparabile fetore. Unisce le opposte pareti di quella voragine un ponte lungo mille passi, largo non più di un piede, e impervio ai superbi, che da esso precipitano nei tormenti senza fine. Dopo lungo e malagevole cammino, si scopre all’anima esterrefatta una bestia, più grande che le più grandi montagne, e piena in vista d’intollerabile orrore. Gli occhi suoi paiono due colline ardenti, e la bocca è così smisurata che vi potrebbero capire novemila uomini armati. Due giganti tengono, a guisa di colonne immani, spalancata quella bocca, d’onde erompe un inestinguibile incendio. Sollecitate e sforzate da un esercito di demoni, le anime degli avari si precipitano contro le fiamme, entrano nella bocca, e dalla bocca sono travolte nel ventre del mostro, d’onde si sprigiona l’urlo di miriadi di tormentati……  




…Ma con o senza temporanea mitigazione e temporaneo riposo, le pene infernali duravano per l’eternità. La dottrina propugnata nel terzo secolo da Origene, uno dei più grandi spiriti per certo ch’abbia prodotto l’antichità cristiana, la dottrina cioè della salvazione finale di tutte le creature, e del ritorno a Dio di tutto quanto venne da Dio , pure insegnata, nel secolo successivo , da Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, era caduta sotto la riprovazione dei più gelosi custodi della verità dogmatica, sotto l’anatema dei concili, e aveva in tutto ceduto il luogo alla dottrina della dannazione eterna ed irrevocabile. La spaventosa minaccia era perciò perpetuamente presente agli spiriti, e di ogni mezzo si usava perché fosse rincalzata a dovere e impressa con più forza, più addentro….





                                        COMMENTI SENZA COMMENTI

                                                                       (visioni di vera bellezza)









Guarda direttamente negli occhi un animale e questi sono pieni di dolore e di bellezza perché contengono la verità della vita, dolore e piacere in ugual misura, la capacità di gioire e la capacità di soffrire. Gli occhi degli uomini molto primitivi e inconsci hanno la stessa strana espressione di uno stato mentale precedente alla coscienza, che non è né di dolore né di piacere; non si sa esattamente che cosa sia. E’ piuttosto sconcertante, ma indubbiamente qui sta guardando nella vera anima dell’animale, e questa è esattamente l’esperienza che doveva avere. In caso contrario sarebbe rimasta scollegata dalla natura.
E’ l’esperienza che ognuno di noi dovrebbe avere per ritrovare il legame con la natura interiore, con la propria natura e con il dio dei primitivi. Si potrebbe dire che questi sono gli occhi dell’inizio, del Creatore, il quale era inconscio perché all’inizio tutto era inconscio. Non si può sapere che cosa sia in se e perché, dal nostro punto di vista, un animale non ha coscienza corrisponde esattamente a ciò che noi chiamiamo inconsceità.
Non posso addentrarmi in una discussione filosofica su questo argomento, ma è davvero possibile che in ciò che noi chiamiamo inconscio - la somma dei contenuti autonomi - ognuno di quei contenuti abbia in sé una coscienza.
Perché no?
La nostra coscienza è un complesso autonomo, e ognuno degli altri complessi potrebbe avere una coscienza indipendente; non è dunque possibile che la somma totale di coscienza e inconsceità abbia un centro con cui i contenuti possano entrare in relazione?
Sarebbe quella allora la coscienza, perché l’unica definizione di coscienza che si possa produrre è un’ associazione di cose con un Io al centro. Ovunque si trovi un tale centro è perciò davvero possibile che li si trovi la coscienza; pertanto ciò che chiamiamo l’inconscio sarebbe un’altra forma di coscienza di qualcos’altro in qualcun altro.

(C.G. Jung, Visioni) 




Le nuvole da quassù all’alba di una nuova mattina si stanno diradando, l’aspetto nell’insieme appare limpido. Devo aver confidato a lungo nelle vele al vento di uno sguardo: Vela (e chi dopo lei) fedele compagna del mio cammino. E se pur solo un Lupo senza coscienza e destino, se pur un animale padrone dell’altrui tempo smarrito, Dio deve aver visto e scrutato il passo mio incerto e qual sicuro bastone dell’elemento ha donato una preziosa nonché più ispirata fidata compagna. Sposa con la quale amare il vento… e con lui ogni Elemento. Con la quale ringraziare il ghiaccio la neve e il freddo, che se pur rendono l’uomo triste e solo in loro compagnia, apparenti elementi avversi alla stagione dell’eterna primavera dell’adolescenza smarrita, con la gioia di codesta Vela eretta al ponte di una nuova vita, appare il più ricco dono o Veliero con cui navigare ai nuovi porti del Tempo. Con cui imparare ad amare ogni Elemento!




Chi appartiene per propria e indiscussa Natura all’onda nominata vita.
Chi appartiene al vento al fuoco all’acqua dalla terra nata!
Elemento del mio e Suo cammino.
Di questo ne sono certo!
Di questo ringrazio il Dio dell’Olimpo assiso!
Argo del comune ed antico cammino naviga al porto di ogni avventura… prima di muovermi al di sopra della foschia mattutina… per il porto dell’incerta e strana vita appesa ad una afflitta Natura. Intrappolata o solo ancorata ad una strana ‘parabola’ ove quanto di naturale del principio narrato nulla più… è rimasto…
Eccetto un fumo pesante quanto una nebbia simile ad una strana ragnatela! 
Eccetto un suono strano con il quale misurano il Tempo!
Eccetto un richiamo con il quale si credono padroni di ogni Elemento!
Eccetto un fiuto condiviso dall’alito appestato con il quale pensano trovare e braccare ogni paradiso!
Eccetto un richiamo fra lingue incompiute spacciate per argute braccare Natura e Dio!




Confidate e sussurrate in alchemici strumenti trasmutati in ultrasuoni compresi ed appresi alla Vela del mio cammino in bassa o alta frequenza comporre vento ed avverso elemento: mare agitato e scomposto al bosco della vita, ove flora e fauna urlano terrore alla stessa mia e loro Natura. Quale voce del vento. Quale grido improvviso. Quale urlo incompreso simile ad un rimpianto: acqua precipitata vomitata confusa e sospesa ad affogare la Terra. Malessere divenuto tormento e scomposto elemento reclamare l’equilibrio perso: fuoco al vento qual infernale destino della stagione alla morte promessa. Fuoco e ghiaccio quali alterne condizioni segnare confine fra la fine ed il Tempo… Ove ogni essere vivo all’oceano dell’infinito Veliero convenuto nutrito ed amato urlare paura alla stiva della mia ora. Tempo con cui creo la Genesi del Primo Dio ed ogni Spirito popola il Genio del volto Suo smarrito…




…Così da un comodo sacco a pelo della tenda mi dirigo vicino ad un altro letto, o almeno, quello che una volta doveva essere il letto di un fiume generato da un ghiacciaio. Il dirupo a 1500 metri di altitudine ha un qualcosa di affascinante, le pietre in alcuni punti sono lisce e ben scavate dalla potenza delle acque. Mi sembra chiaro come un tempo doveva manifestare il proprio corso, ma soprattutto quando lentamente le nuvole del primo mattino si dissolvono lungo la  piana che attraversa queste montagne mi appare ancor più chiaro come quel mare primordiale ci doveva e poteva sorprendere. La spirale che vedo chiaramente diventa pensiero, e se questo trasmuta e cresce come quelle strutture di cristallo di neve non so attribuirne il merito che unitamente alla natura. Disegno e forma crescono precipitano elevano in uno strano gioco alchemico l’Anima, e questa, di rimando, in ogni Elemento. Sono acqua vento terra e fuoco e Dio in ogni loro pensiero. In ogni albero ove oggi è primavera, e poi ad ogni ramo un fiocco di neve di ugual ed identica forma e simmetria creare la stagione nominata vita.




Così da comporre una figura geometrica perfetta la quale non lascia scampo a dubbi.
Così da comporre il vento.
Così da comporre la neve.
Così da comporre ghiaccio.
Così da comporre la Rima.
Così da comporre ogni Elemento nella Genesi del Tempo smarrito (per chi di superiore vista governa in tal modo la materia, certo questo è tempo tradito. Lavoro abdicato che nulla più deve godere quanto seminato. Per chi, invece, assente alla materia con cui avvelenato l’Opera di ogni mondo nato, la genesi pensata appare miracolo annunciato ricomporre il giusto ordine perseguitato).  
Secoli dopo, e/o precedenti a codesta revisione, del e nel Tempo, ho continuato siffatto esperimento dalla scienza negato nel ‘Tempo Infinito’ e rimato. E la Natura ha conferito ragione circa la voce del Genio in ogni Elemento scorto. Vissuto contemplato ammirato (privato indotto o torturato da chi si pensa padrone della mente e dio, da chi si pensa padrone del pensiero ma figlio del più atroce aguzzino, e la Natura ha ripagato torto subito e l’intento fermo al Genio del vero e naturale cammino…) con o senza pensiero… per poi ricomporre ugual intento Opera bosco e vita… e Dio al lume di un foglio.




Alla prigione di una Teschio.
Alla materia di un diverso e avverso Dio.
Al calvario di chi per sempre nega e concede solo un sudario quale premio per il suo ingegno in nome di un falso progresso.
…Per poi comporre ugual intento Natura e sogno braccato all’Elemento  dell’Infinito Creato.
L’ho narrato e per questo di nuovo fuggito!
L’ho confessato per questo perseguitato!
L’ho trasmutato e riportato al Primo Elemento di uno ‘gnostico tempo’ ritrovato ove pensavano il Primo Dio smarrito e barattato per diavolo.
E se gli occhi di questo ammiro e prego perché in quel terrore ed eterna bellezza assente ad ogni peccato v’è la visione di un Primo Dio perso o solo rimembrato nell’Eretico enunciato assente ad ogni cattedrale che non sia il folto peccato ad un bosco nato. 
E se guardo con sdegno al loro tempo perché scorgo il male assente in quello sguardo!
Nell’urlo del faggio smarrito…
Nel richiamo di chi braccato pasto dell’eterno peccato consumato…
Ed anche quando tagliano il legno o la corteccia secca sento la voce di chi trapassa a miglior vita!




(Volo nel bosco con le ali con cui nutro il vento. Trapasso rami e chiome penetro legno e foglia. Sono ghiaccio rugiada nebbia e freddo. Odo la luna e l’ululato trattengo. Salgo piano e la volpe mi segue sono suo compagno. Corro impaurito come il cervo in cerca del fuoco divenuto colpo improvviso segnare e marcare confino fra il mio e Tempo suo materia di un diverso sogno smarrito. Volo piano fra i rami con il dono di una doppia vista fiuto la preda   nascosta come una bestia in attesa. Sono in cima alla vetta in cima alla chioma controllo passo e sentiero qual sentinella di un feudo in apparente assenza di Dio. Sono ogni dèmone braccato padrone dell’invisibile Universo nato cui l’uomo misero araldo destinato. Sono diavolo taciuto confidare l’Eretico desiderio nel volo antico combattere per conto ed in difesa del mio Dio. Volo sulla Terra a confidare l’eterno peccato e rinasco all’alba di ogni mattino quale preda braccata sconfiggere la potenza del fuoco mutato…). Precipito nel bosco a trovare la sua preghiera incisa al rogo della materia… riversa smarrita reclamare giustizia. Calore del misero Secondo confidare un’ultimo respiro per poi indicarmi come posso trovare e narrare la voce di chi ne è privo… O solo la lingua di ciò cui è nominato e pregato Dio confuso per diavolo o dèmone pagano! Posso braccare come un animale fiuto per ogni ramo e spazio nel tempo nato nel folto ove ogni spiegazione rimane senza inizio e fine così come l’Infinito pregato ed ammirato ma giammai scorto…

E’ la Natura che non lascia scampo!

Se volgo la figura in diverse angolazioni mantiene la perfezione della sua simmetria, e mi colpisce.  Ed è la stessa perfezione di un’anima composta da sentimenti e ricordi e intenti che prova nell’attimo che la vista coglie tutto ciò che vede attorno, e non solo vede, ma ode e percepisce con tutti i sensi. La neve di un Inverno lungo ancora mi fa compagnia. La sua rigidità (climatica) deve aver influito in maniera determinante su tutta la nostra struttura, sul comportamento, sull’apprendimento, sul linguaggio….

(G. Lazzari, L’Eretico Viaggio, Visioni) 
















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