Precedenti capitoli:
Il figlio dei Lupi (26)
Prosegue in:
Il tempestoso ponte del XXI secolo (28)
Parecchi volumi non basterebbero a contenere
tutte le leggende delle Alpi in cui entra il diavolo, e che trovasi
specialmente nelle regioni appartenenti all’Italia, alla Svizzera ed all’Austria
non meno del Sud Italia.
Ora dirò solo che secondo il concetto che ho
potuto farmi sui racconti creati dalla fantasia popolare, che vide apparire
Satana sull’immensa catena, si trova in essi, in modo assai spiccato, la grande
influenza che l’ambiente ha sull’animo degli uomini.
Dante che aveva in cuore un alto ideale della
bellezza nell’arte, ed era avvezzo alla classica forma degli antichi, volle,
descrivendo molti demoni, attenersi pure alle credenze sparse da tante leggende
popolari; ma non diede neppure a Lucifero la deformità abominevole e triviale,
che la figura del diavolo ha con tanta frequenza, in certe leggende ed in molti
dipinti del Medioevo.
Gli alpigiani che stanno fra paesaggi
grandiosi ed imponenti, e sono avvezzi a vedersi dinanzi la meravigliosa
bellezza delle montagne, adattano la figura di Satana all’ambiente che li
circonda. Essi lo descrivono quasi sempre come terribile padrone e signore di
monti altissimi e di valloni spaventevoli, e danno una grandezza epica alla
sua figura gigantesca.
Altre volte se lo mettono in condizione più umile, e fanno vedere la
sua malizia infernale vinta dall’astuzia degli uomini, o dal potere
soprannaturale dei Santi; la sua figura non è neppur tale da far provare
indicibile ribrezzo e nausea a chi può immaginarla secondo il concetto
popolare. Ed anche se appare nelle leggende delle Alpi in forma di caprone, di
drago, di cavallo, e lupo, basta risalire fino ai miti oscuri delle religioni
diverse, per ritrovare l’antica grandezza epica di certe figure, che ricordano
il genio del male, il quale doveva essere vinto innanzi allo splendore eterno
della Croce….
Ben più vario l’inferno veduto dal monaco Alberico in principio del XII
secolo, quand’era ancora fanciullo…
“…In una valle spaventosa molte anime
stavano immerse nel ghiaccio, alcune sino alla caviglia, o sino al ginocchio
solamente, altre sino al petto, altre sino al capo. Sorgeva più oltre un
terribile bosco, formato di alberi alti sessanta braccia, e irti di spine, da’
cui rami aguzzi e taglienti pendevano per le mammelle quelle triste donne che
ricusarono di nutrire del loro latte i bambini orfani di madre; due serpi
suggevano a ciascuna il mal ricusato seno. Per una scala di ferro rovente, alta
trecentosessantacinque cubiti, salivano e scendevano coloro che nelle domeniche
e nelle feste dei santi non seppero astenersi dalla copula, e quando l’uno,
quando 1’altro di essi precipitava in una gran caldaia piena d’olio, di pece e
di resina, che bolliva da basso. In terribili fiamme, simili a quelle di una
fornace, erano puniti i tiranni; in un lago di fuoco gli omicidi; in uno
smisurato tegame, pieno di bronzo, di stagno, di piombo in fusione, mescolati
con zolfo e con resina, i parrocchiani poco zelanti che tollerarono le scostumatezze
dei loro parroci. Si spalancava più oltre, simile ad un pozzo, la bocca del più
profondo baratro infernale, pieno di tenebre orrende, di fetore e di strida. Ivi
presso era legato con una catena di ferro un serpente smisurato, dinanzi a cui
stava, sospesa in aria, una moltitudine di anime; ed ogni volta che traeva a sé
il fiato, il serpente ingozzava di quelle anime, non altrimenti che se fossero mosche,
e quando emetteva il fiato, le vomitava accese a guisa di faville. I sacrileghi
bollivano in un lago di metallo liquefatto, le cui onde si agitavano
crepitando; in un altro lago, formato d’acqua sulfurea, pieno di serpenti e di
scorpioni, annegavano in perpetuo i traditori e i falsi testimoni. I ladri e i
rapinatori erano legati con gran catene di ferro arroventate, e loro pendevano dal
collo gravi pesi, similmente di ferro”.
Ma di quante descrizioni dell’inferno ci tramandò il medio evo, la più
terribile, quella in cui più grandeggia la poesia dell’orrore, e in cui è
maggior dispendio di fantasia inventiva, è la descrizione che si legge nella Visione di Tundalo…
“Sfuggita dalle mani d’infiniti
demoni, l’anima di Tundalo, guidata da un angelo luminoso, giunse, attraverso fittissime
tenebre, in una orribile valle, piena di carboni ardenti, e coperta da un cielo
di ferro arroventato dello spessore di sei cubiti. Sul grande coperchio piovono
senza intermissione le anime degli omicidi, e quivi, penetrate dallo spaventoso
calore, si struggono come il lardo nella padella, e liquefatte, colano
attraverso il metallo, come fa la cera attraverso il panno, e sgocciolano sui
carboni sottostanti, dove tornano nel primo stato, rinnovate all’eterno
tormento.
Più oltre è una montagna di meravigliosa grandezza, piena d’orrore in
vasta solitudine.
Vi si accede per un angusto sentiero, che dall’una parte ha fuoco
putrido, sulfureo e tenebroso, e dall’altra grandine e neve. Il monte è pieno
di demoni, armati di roncigli e di tridenti, i quali demoni assalgono le anime
degli insidiatori e dei perfidi che si mettono per quel sentiero, e le
travolgono giù, e con perpetua vicenda le scaraventano dal fuoco nel ghiaccio e
dal ghiaccio nel fuoco. Ecco un’altra valle, tanto cupa e tenebrosa che non se
ne vede il fondo. L’aria vi mugghia pel rombo di un fiume sulfureo che corre
laggiù, e per l’incessante ululo dei dannati, mentre la ingombra un fumo d’incomparabile
fetore. Unisce le opposte pareti di quella voragine un ponte lungo mille passi,
largo non più di un piede, e impervio ai superbi, che da esso precipitano nei
tormenti senza fine. Dopo lungo e malagevole cammino, si scopre all’anima
esterrefatta una bestia, più grande che le più grandi montagne, e piena in
vista d’intollerabile orrore. Gli occhi suoi paiono due colline ardenti, e la
bocca è così smisurata che vi potrebbero capire novemila uomini armati. Due
giganti tengono, a guisa di colonne immani, spalancata quella bocca, d’onde erompe
un inestinguibile incendio. Sollecitate e sforzate da un esercito di demoni, le
anime degli avari si precipitano contro le fiamme, entrano nella bocca, e dalla
bocca sono travolte nel ventre del mostro, d’onde si sprigiona l’urlo di
miriadi di tormentati…”…
…Ma con o senza temporanea mitigazione e temporaneo riposo, le pene
infernali duravano per l’eternità. La dottrina propugnata nel terzo secolo da
Origene, uno dei più grandi spiriti per certo ch’abbia prodotto l’antichità
cristiana, la dottrina cioè della salvazione finale di tutte le creature, e del
ritorno a Dio di tutto quanto venne da Dio , pure insegnata, nel secolo
successivo , da Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, era caduta sotto la
riprovazione dei più gelosi custodi della verità dogmatica, sotto l’anatema dei
concili, e aveva in tutto ceduto il luogo alla dottrina della dannazione eterna
ed irrevocabile. La spaventosa minaccia era perciò perpetuamente presente agli
spiriti, e di ogni mezzo si usava perché fosse rincalzata a dovere e impressa
con più forza, più addentro….
COMMENTI SENZA COMMENTI
(visioni di vera bellezza)
Guarda
direttamente negli occhi un animale e questi sono pieni di dolore e di bellezza
perché contengono la verità della vita, dolore e piacere in ugual misura, la
capacità di gioire e la capacità di soffrire. Gli occhi degli uomini molto
primitivi e inconsci hanno la stessa strana espressione di uno stato mentale
precedente alla coscienza, che non è né di dolore né di piacere; non si sa
esattamente che cosa sia. E’ piuttosto sconcertante, ma indubbiamente qui sta
guardando nella vera anima dell’animale, e questa è esattamente l’esperienza
che doveva avere. In caso contrario sarebbe rimasta scollegata dalla natura.
E’
l’esperienza che ognuno di noi dovrebbe avere per ritrovare il legame con la
natura interiore, con la propria natura e con il dio dei primitivi. Si potrebbe
dire che questi sono gli occhi dell’inizio, del Creatore, il quale era
inconscio perché all’inizio tutto era inconscio. Non si può sapere che cosa sia
in se e perché, dal nostro punto di vista, un animale non ha coscienza
corrisponde esattamente a ciò che noi chiamiamo inconsceità.
Non posso
addentrarmi in una discussione filosofica su questo argomento, ma è davvero
possibile che in ciò che noi chiamiamo inconscio - la somma dei contenuti
autonomi - ognuno di quei contenuti abbia in sé una coscienza.
Perché no?
La nostra
coscienza è un complesso autonomo, e ognuno degli altri complessi potrebbe
avere una coscienza indipendente; non è dunque possibile che la somma totale di
coscienza e inconsceità abbia un centro con cui i contenuti possano entrare in
relazione?
Sarebbe
quella allora la coscienza, perché l’unica definizione di coscienza che si
possa produrre è un’ associazione di cose con un Io al centro. Ovunque si trovi
un tale centro è perciò davvero possibile che li si trovi la coscienza;
pertanto ciò che chiamiamo l’inconscio sarebbe un’altra forma di coscienza di
qualcos’altro in qualcun altro.
(C.G. Jung,
Visioni)
Le nuvole da quassù all’alba di una nuova mattina si stanno
diradando, l’aspetto nell’insieme appare limpido. Devo aver confidato a lungo
nelle vele al vento di uno sguardo: Vela (e chi dopo lei) fedele compagna del
mio cammino. E se pur solo un Lupo senza coscienza e destino, se pur un animale
padrone dell’altrui tempo smarrito, Dio deve aver visto e scrutato il passo mio
incerto e qual sicuro bastone dell’elemento ha donato una preziosa nonché più
ispirata fidata compagna. Sposa con la quale amare il vento… e con lui ogni
Elemento. Con la quale ringraziare il ghiaccio la neve e il freddo, che se pur
rendono l’uomo triste e solo in loro compagnia, apparenti elementi avversi alla
stagione dell’eterna primavera dell’adolescenza smarrita, con la gioia di
codesta Vela eretta al ponte di una nuova vita, appare il più ricco dono o
Veliero con cui navigare ai nuovi porti del Tempo. Con cui imparare ad amare
ogni Elemento!
Chi appartiene per propria e indiscussa Natura all’onda
nominata vita.
Chi appartiene al vento al fuoco all’acqua dalla terra
nata!
Elemento del mio e Suo cammino.
Di questo ne sono certo!
Di questo ringrazio il Dio dell’Olimpo assiso!
Argo del comune ed antico cammino naviga al porto di ogni
avventura… prima di muovermi al di sopra della foschia mattutina… per il porto
dell’incerta e strana vita appesa ad una afflitta Natura. Intrappolata o solo
ancorata ad una strana ‘parabola’ ove quanto di naturale del principio narrato
nulla più… è rimasto…
Eccetto un fumo pesante quanto una nebbia simile ad una
strana ragnatela!
Eccetto un suono strano con il quale misurano il Tempo!
Eccetto un richiamo con il quale si credono padroni di ogni
Elemento!
Eccetto un fiuto condiviso dall’alito appestato con il
quale pensano trovare e braccare ogni paradiso!
Eccetto un richiamo fra lingue incompiute spacciate per
argute braccare Natura e Dio!
Confidate e sussurrate in alchemici strumenti trasmutati in
ultrasuoni compresi ed appresi alla Vela del mio cammino in bassa o alta
frequenza comporre vento ed avverso elemento: mare agitato e scomposto al bosco
della vita, ove flora e fauna urlano terrore alla stessa mia e loro
Natura. Quale voce del vento. Quale grido improvviso. Quale urlo incompreso
simile ad un rimpianto: acqua precipitata vomitata confusa e sospesa ad
affogare la Terra. Malessere divenuto tormento e scomposto elemento reclamare l’equilibrio
perso: fuoco al vento qual infernale destino della stagione alla morte
promessa. Fuoco e ghiaccio quali alterne condizioni segnare confine fra la fine
ed il Tempo… Ove ogni essere vivo all’oceano dell’infinito Veliero convenuto
nutrito ed amato urlare paura alla stiva della mia ora. Tempo con cui creo la
Genesi del Primo Dio ed ogni Spirito popola il Genio del volto Suo smarrito…
…Così da un comodo sacco a pelo della tenda mi dirigo
vicino ad un altro letto, o almeno, quello che una volta doveva essere il letto
di un fiume generato da un ghiacciaio. Il dirupo a 1500 metri di altitudine ha
un qualcosa di affascinante, le pietre in alcuni punti sono lisce e ben scavate
dalla potenza delle acque. Mi sembra chiaro come un tempo doveva manifestare il
proprio corso, ma soprattutto quando lentamente le nuvole del primo mattino si
dissolvono lungo la piana che attraversa
queste montagne mi appare ancor più chiaro come quel mare primordiale ci doveva
e poteva sorprendere. La spirale che vedo chiaramente diventa pensiero, e se
questo trasmuta e cresce come quelle strutture di cristallo di neve non so
attribuirne il merito che unitamente alla natura. Disegno e forma crescono precipitano
elevano in uno strano gioco alchemico l’Anima, e questa, di rimando, in ogni
Elemento. Sono acqua vento terra e fuoco e Dio in ogni loro pensiero. In ogni
albero ove oggi è primavera, e poi ad ogni ramo un fiocco di neve di ugual ed
identica forma e simmetria creare la stagione nominata vita.
Così da comporre una figura geometrica perfetta la quale
non lascia scampo a dubbi.
Così da comporre il vento.
Così da comporre la neve.
Così da comporre ghiaccio.
Così da comporre la Rima.
Così da comporre ogni Elemento nella Genesi del Tempo
smarrito (per chi di superiore vista governa in tal modo la materia, certo
questo è tempo tradito. Lavoro abdicato che nulla più deve godere quanto
seminato. Per chi, invece, assente alla materia con cui avvelenato l’Opera di
ogni mondo nato, la genesi pensata appare miracolo annunciato ricomporre il
giusto ordine perseguitato).
Secoli dopo, e/o precedenti a codesta revisione, del e nel
Tempo, ho continuato siffatto esperimento dalla scienza negato nel ‘Tempo
Infinito’ e rimato. E la Natura ha conferito ragione circa la voce del Genio in
ogni Elemento scorto. Vissuto contemplato ammirato (privato indotto o torturato
da chi si pensa padrone della mente e dio, da chi si pensa padrone del pensiero
ma figlio del più atroce aguzzino, e la Natura ha ripagato torto subito e
l’intento fermo al Genio del vero e naturale cammino…) con o senza pensiero…
per poi ricomporre ugual intento Opera bosco e vita… e Dio al lume di un
foglio.
Alla prigione di una Teschio.
Alla materia di un diverso e avverso Dio.
Al calvario di chi per sempre nega e concede solo un
sudario quale premio per il suo ingegno in nome di un falso progresso.
…Per poi comporre ugual intento Natura e sogno braccato
all’Elemento dell’Infinito Creato.
L’ho narrato e per questo di nuovo fuggito!
L’ho confessato per questo perseguitato!
L’ho trasmutato e riportato al Primo Elemento di uno
‘gnostico tempo’ ritrovato ove pensavano il Primo Dio smarrito e barattato per
diavolo.
E se gli occhi di questo ammiro e prego perché in quel
terrore ed eterna bellezza assente ad ogni peccato v’è la visione di un Primo
Dio perso o solo rimembrato nell’Eretico enunciato assente ad ogni cattedrale
che non sia il folto peccato ad un bosco nato.
E se guardo con sdegno al loro tempo perché scorgo il male
assente in quello sguardo!
Nell’urlo del faggio smarrito…
Nel richiamo di chi braccato pasto dell’eterno peccato
consumato…
Ed anche quando tagliano il legno o la corteccia secca
sento la voce di chi trapassa a miglior vita!
(Volo nel bosco con le ali con cui nutro il vento. Trapasso
rami e chiome penetro legno e foglia. Sono ghiaccio rugiada nebbia e freddo.
Odo la luna e l’ululato trattengo. Salgo piano e la volpe mi segue sono suo
compagno. Corro impaurito come il cervo in cerca del fuoco divenuto colpo
improvviso segnare e marcare confino fra il mio e Tempo suo materia di un
diverso sogno smarrito. Volo piano fra i rami con il dono di una doppia vista
fiuto la preda nascosta come una bestia
in attesa. Sono in cima alla vetta in cima alla chioma controllo passo e
sentiero qual sentinella di un feudo in apparente assenza di Dio. Sono ogni
dèmone braccato padrone dell’invisibile Universo nato cui l’uomo misero araldo
destinato. Sono diavolo taciuto confidare l’Eretico desiderio nel volo antico
combattere per conto ed in difesa del mio Dio. Volo sulla Terra a confidare
l’eterno peccato e rinasco all’alba di ogni mattino quale preda braccata
sconfiggere la potenza del fuoco mutato…). Precipito nel bosco a trovare la sua
preghiera incisa al rogo della materia… riversa smarrita reclamare giustizia.
Calore del misero Secondo confidare un’ultimo respiro per poi indicarmi come
posso trovare e narrare la voce di chi ne è privo… O solo la lingua di ciò cui
è nominato e pregato Dio confuso per diavolo o dèmone pagano! Posso braccare
come un animale fiuto per ogni ramo e spazio nel tempo nato nel folto ove ogni
spiegazione rimane senza inizio e fine così come l’Infinito pregato ed ammirato
ma giammai scorto…
E’ la Natura che non lascia scampo!
Se volgo la figura in diverse angolazioni mantiene la
perfezione della sua simmetria, e mi colpisce.
Ed è la stessa perfezione di un’anima composta da sentimenti e ricordi e
intenti che prova nell’attimo che la vista coglie tutto ciò che vede attorno, e
non solo vede, ma ode e percepisce con tutti i sensi. La neve di un Inverno
lungo ancora mi fa compagnia. La sua rigidità (climatica) deve aver influito in
maniera determinante su tutta la nostra struttura, sul comportamento,
sull’apprendimento, sul linguaggio….
(G. Lazzari, L’Eretico Viaggio, Visioni)
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