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La Freccia del Tempo (17)
Veniamo alla ‘Formula’ alla ‘Equazione storica’ e diamo
breve enunciato dei fatti evitando inutili commenti ma ponendo brevi asterischi
‘per gli addetti ai lavori’ nei quali evitiamo false disquisizioni o
trappole, lasciando una parentesi aperta
per una ipotesi la quale potrebbe essere una Verità celata… alla Memoria. La quale,
come detto fin dal principio, vuole abbracciare molto più di quanto la Storia
sconfessa o si confessa fino a quel ‘Nulla’ il quale è comune denominatore dal
principio di tal Sentiero con la ‘parola’ nata, ma noi procediamo non per
difetto o critica ma per motivo che travalica il ‘teologico’ nella ricerca di
un più probabile termine per ciò che comunemente definito Dio, quindi l’intera
probabile successione di tutti gli eventi nati… per Sua causa, o, al contrario,
senza nesso di causa alcuna ma solo una condizione ‘unica’ nell’Universo accertato
nel quale per successive ‘evoluzioni’ la vita… chiudendo ‘il cerchio’ su ciò
per secoli e fin dall’inizio si è discusso…:
Leggo brevi premesse tratte dall’introduzione della ‘Cena
segreta’ a cura di Francesco Zambon: “Nel 1939 il padre Antoine Dondaine, frate
Predicatore, pubblicava presso l’Istituto Storico Domenicano di Santa Sabina, a
Roma, uno scritto ‘cataro’ fino a quel momento sconosciuto [1* ‘sconosciuto’: Primo fatto da accertare:
cioè, anche se conservato siamo certi, a parte coloro i quali ne hanno presa
consistenza storica, che davvero come si dice sia rimasto ‘sconosciuto’ o forse
reso forzatamente tale soprattutto se inquisito quindi esaminato e attentamente
consultato prima e dopo l’inquisitore divenuto poi ricercatore di una più
probabile verità da consegnare all’altare della Storia], il ‘Libro dei due principi’ [2*: come tale il termine può essere oggetto di un successivo
‘recupero’ teologico il quale, se pur archiviato per sua difetta ‘natura’, in
verità e per il vero, come dedurremo successivamente con un intuito pari a
quello di Umberto Eco, fu preso in considerazione maggiore di quanto possiamo
ritenere nella forzatura archivistica conservata ed annullata alla Memoria
collettiva. Forse e per il vero il suo contenuto, pur l’ortodossa interpretazione
della scolastica medievale, deve aver motivato più di una mente eccelsa, la
quale, pur non contraddicendo i canoni, a questo stesso scritto(i) si è soffermata
ispirandosi ed approfondendo con altri autorevoli ‘fonti’, e quindi,
rapportandolo traducendolo e adeguandolo
per porlo in più vasto sermone teologico ancor più Eretico di come le
premesse lo hanno fatto approdare ad una dovuta attenzione. Anzi, come vedremo,
nel gioco degli specchi il nero diviene bianco ed il bianco nero. Come se in
verità e per il vero, qualche dotto accademico accorgendosi dei limiti della
natura in cui Dio costretto avesse dedotto, o addirittura in parte accettato,
la ‘formula eretica’ per estenderla dedurla ed introdurla in un pensiero
filosofico che se pur vasto ancor più eretico… E questa ‘parmi’ la vera essenza
della formula… Come del resto il sottoscritto il quale scorge i limiti della
‘formula eretica’ e trova le condizioni necessarie e più che sufficienti per
una deduzione esplicativa nei canoni opposti e comunemente definiti ‘ortodossi’
ed in questa ‘ortodossia’ scorgere la luce di una probabile verità anch’essa
occultata e non certo manifesta in quanto ha subito medesimi patimenti della
Storia e con questi della Memoria… Continuiamo… ].
La scoperta del ‘Libro’, che costituisce oggi la più ampia
opera catara originale in nostro possesso, fu del tutto ‘fortuita’ [3*: Zambon è un autore
di vasta intuizione nonché preparazione storica ma suppongo che abbia
volutamente sottovaluta la condizione ‘fortuita’ come da lui espressa, possiamo
ipotizzare, al contrario, che il trattato pur apparentemente dimenticato possa
essere stato oggetto di consultazione palese o segreta da quando redatto a
quando evidenziato… anche se si è preferito non cancellarlo né rimuoverlo dagli
‘archivi’. E qui nasce non il sospetto, ma al contrario, il rispetto per la
conseguente volontà di conservazione anche se con tale pratica ‘archivistica’
la quale non certo figlia solo dell’inquisizione ma affine rispetto ad altre
simmetriche politiche divenute consuetudini sociali congeniali alla dittatura
del pensiero unico e del libero arbitrio inquisito in cui ci siamo formati
specchio della cultura storica ‘seminata e raccolta’, maturando nella
diffidenza divenuta consapevolezza dell’esiliato torturato e bandito dalla
società nella consuetudine di principi opposti ed avversi ad ogni dittatura i
quali hanno ben visto e vissuto, pur l’apparenza nominata Tempo, medesime
pratiche. Quindi ‘la formula o ipotesi’ ragguagliata dalla verità storica nella
ripetuta prova cui ho destinato il mio intuito assommato all’esperienza con
documentata prova. In questa volontà di ‘conservazione’ potrebbe nascere un
principio di reciproco e segreto rispetto e non solo paura, questo debbo
concedere quale superiorità morale ed intellettuale in onore allo Spirito il
quale indago nelle vicissitudini cui la Verità soggetta costretta interpretata
e falsata anche nelle visioni di dubbia origine e consistenza… E maturando si è
soliti concedere ad un cesare quanto ad un valente polemista o teologo e di
conseguenza ad un papa meriti che prima abbiamo trascurato…].
Come raccontò egli stesso a Yves Dossat, il padre Dondaine
stava cercando alla Biblioteca Nazionale di Firenze manoscritti che potessero
interessare gli ‘Scriptores’ O.P., quando vide menzionato nel catalogo un
misterioso ‘Liber de Duobus principiis’. Benché il titolo non lasciasse
presagire nulla di interessante per la sua ricerca - continua Zambon nella sua
introduzione -, richiese ugualmente il ‘codice’, un volume pergamenaceo di
sobria fattura, e non tardò ad accorgersi di aver messo mano su un documento
eccezionale [4: L’‘Unicità’ e la ‘rarità’ rendono di per se il libro con il
suo documento segreto un probabile approdo per i più misurati, per i più dotti,
per i più introdotti, non nella sottomissione ma nella volontà della medesima ricerca (detta)
la quale per sua Natura finalizza e ottimizza l’istinto senza nulla trasporre
di quanto altri per propri limiti hanno ‘requisito’ sottratto’ ‘confuso’ e poi… dimenticato; anzi, potremmo dedurre,
che taluni ambienti per spiriti elevati prestati allo studio, il clima
teologico di quei ed odierni intenti deve essere stato restrittivo, ragion per
cui, motivati dalla finalità, non del successo, ma dell’occhio che vuol
avvicinarsi all’essenza stessa motivo dello studio possono aver avuto sicuro e
certo spunto, una certa illuminazione riflessa nella propria esperienza, di cui
però, medesimi limiti imposti non consentono una appropriata lettura
riflettendola di conseguenza in un più giusto contesto, nel quale e per il vero,
non solo leggiamo il genio incompreso ma anche una più consona ed Eretica Natura
dell’immateriale che si vuol oggettivare…].
…Fino ad allora, infatti, l’Eresia catara era conosciuta
quasi ‘esclusivamente’ attraverso testimonianze indirette emananti, per lo più,
dai suoi oppositori [5*: definire il termine ‘oppositore’ [in questo specifico caso]
è come dire servo eterno di una causa nella quale non si conosce un proprio
pensiero escludendolo, se non addirittura alienandolo e sottraendolo
dall’essere (giammai nella finalità o volontà di Dio parente ed affine ad un
nirvana cosmico, ma al contrario, annullando con l’illusione di pensare, cioè
il ‘non pensare’ al nulla di quanto non sia stato ‘creato’…), ma rifacendosi nei
secoli ai canoni di una volontà altrui la quale tende ad ossequiare omaggiare e
rendere legittimo nella illegittimità dei fatti arrecati. Quindi ‘oppositore’
significa non tanto ‘servo di Dio’, ma al contrario, servo del proprio stato nella
dittatura che in ogni sistema totalitario o meno si tende ad asservire e
servire per essere meglio inseriti nelle aspettative che da questo ci si
attende quale giusta nonché meritevole ‘retribuzione’ per ciò che per sempre si
‘oppone’ alla libertà nella sostanziale paura di questa (come evidenziato poco
sopra da Tucci!). Ciò di conseguenza comporta un dovere ‘eterno’ anche
nell’Eterno della propria ed altrui ricerca ed obbedienza che travalica fin
nella coscienza e parente della deficienza. Infatti per mio motivo la legittima
volontà della immateriale o metafisica ricerca non può conoscere ostacoli di
sorta ma si forma con l’esperienza diretta e cresce in un contesto evolutivo
ove la prova dell’Assoluto o Infinito fanno nascere le motivazioni della
ricerca sottratta ai limiti ed obblighi, di chi, per supposta difesa o pretesa,
difetta di ragione ed intelligenza e più simile ad una involuta natura non
certo ‘elevata’ fino alla materia di cui la propria scelta. Solo pochi, come
vedremo, possiamo dire e nominare degni di questa volontà ed in questa mia
formula posso pensarli vicino all’Eresia detta, o se non altro, di averla in
qualche modo esaminata e di averla ripensata con i dovuti, non paradossi, ma di
certo ripensamenti morali figli dell’onestà cui Cristo insegna…].
Cronache, scritti dei polemisti cattolici, atti
inquisitoriali. Nello stesso codice fiorentino, intanto, Dondaine aveva trovato
anche un secondo testo cataro: una redazione latina del ‘rituale’, più ampia di
quella occitanica anche se purtroppo ‘frammentata’. Inoltre, nello stesso 1939
egli aveva individuato qualche briciola di un ‘Trattato cataro’, citato in uno
scritto polemico del XIII secolo conservato presso la Bibliothèque Nationale di
Parigi, il ‘Liber contra Manicheos’ di Durando di Huesca. Successivamente,
aveva rinvenuto a Praga un ‘frammento’ più completo della stessa opera in una
copia dello scritto di Durando proveniente dalla Biblioteca Capitolare della
Cattedrale. E qui ci fermiamo un attimo…[6*: Praga la
incontreremo più volte…].
(G. Lazzari, L’Eretico
Viaggio, Dislivelli)
L’umana insufficienza
era tale che bastava otturare due pertugi per escludere il mondo dei suoni, e
due altre vie d’accesso perché si facesse notte. Che un bavaglio serrasse tre
di quelle aperture, sì vicine le une alle altre che il palmo di una mano non
fatica a coprirle, ed era finita per l’animale, la cui vita è legata a un
soffio. L’ingombrante involucro che gli toccava lavare, riempire, riscaldare accanto
al fuoco o sotto il vello di una bestia morta, coricare la sera come un bambino
o come un vecchio rimbecillito, serviva contro di lui da ostaggio alla natura intera,
e soprattutto alla società degli uomini. Era con quella carne e con quella cute
che avrebbe forse sofferto gli spasimi della tortura, e l’incepparsi di quei meccanismi
gli avrebbe impedito un giorno di definire appropriatamente l’idea abbozzata. Se
talvolta teneva in sospetto le operazioni della mente, che per comodità isolava
dal resto della propria materia, era soprattutto perché lei, l’inferma,
dipendeva dai servigi del corpo. Era stanco di quella mistura di fuoco instabile
e di densa argilla. Exitus rationalis: una soluzione si profilava, non meno
imperiosa del prurito carnale, un disgusto, una vanità forse, lo impelleva a compiere
il gesto che tutto conclude. Scuoteva il capo, gravemente, come al cospetto di
un malato troppo frettoloso nel reclamare un rimedio o un alimento. Ci sarebbe
stato sempre tempo per perire con quel pesante supporto, ovvero per continuare
senza di esso una vita immateriale e imprevedibile, non necessariamente più
favorita di quella che conduciamo dentro la carne.
Rigorosamente, quasi
a malincuore, il viaggiatore giunto in capo a una tappa di oltre cinquant’anni
si obbligava, per la prima volta in vita sua, a ricalcare in spirito le strade
percorse, distinguendo il fortuito dal deliberato o dal necessario, sforzandosi
di sceverare tra il poco che sembrava emanare da lui stesso e ciò che
apparteneva all’indiviso della sua condizione d’uomo. Nulla era perfettamente uguale,
e nulla tutt’affatto contrario a ciò che aveva dapprima voluto o precedentemente
pensato. L’errore nasceva ora dall’azione di un elemento di cui non aveva
sospettato la presenza, ora da una svista nel computo del tempo, rivelatosi più
retrattile o più estensibile che sugli orologi.
A vent’anni, si era
creduto affrancato dalle consuetudini o dai pregiudizi che paralizzano i nostri
atti e mettono i paraocchi all’intelletto, ma poi aveva passato la vita a
racimolare soldo su soldo quella libertà di cui aveva creduto di possedere di
prim’acchito il totale. Non si è liberi quanto si desidera, quanto si vuole, quanto
si teme, fors’anche quanto si vive. Medico, alchimista, artificiere, astrologo,
volente o nolente aveva indossato la livrea del suo tempo; aveva lasciato che
il secolo imponesse al suo intelletto determinati tragitti.
Quell’uomo sul chi vive
si era sorpreso a giudicare più odiosi i delitti, più imbecilli le
superstizioni delle repubbliche o dei principi che minacciavano la sua
esistenza o gli bruciavano i libri; inversamente gli era accaduto di esagerare
il merito di un babbeo mitrato, con corona o tiara, il cui favore gli aveva
permesso di passare dalle idee agli atti. La voglia di promuovere, di modificare
o di guidare almeno un segmento della natura delle cose l’aveva trascinato a
rimorchio dei grandi di questo mondo, qua e là erigendo castelli di carte o
cavalcando fumi…
(Marguerite Yourcenar)
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