Precedenti capitoli:
Il figlio degli Dèi (22)
Prosegue in:
Un cimitero Funerario (24) &
Relatività Spirituale (25) &
Il figlio dei Lupi (con il permesso della 'lupara') (26)
....Gli spettatori pensano che l’improvvisa deviazione sia dovuta a uno
sparo, forse a una ferita; ma prendete questo binocolo e vi accorgerete che sta
cavalcando verso una breccia nella parete e nella siepe. Ha intenzione, se non
lo uccidono prima, di attraversarla e guardare dall’alto la campagna al di là.
Non dovete dimenticare la natura di questa azione solitaria; non vi è permesso
di considerarla una bravata, né, d’altra parte, un inutile suicidio. Se il
nemico non si è ritirato, dev’essere in forze su quel crinale.
L’esploratore s’imbatterà nientemeno che in uno schieramento di
battaglia; non c’è bisogno di reparti avanzati, di vedette e soldati d’avanguardia,
per annunciare il nostro avvicinamento; le nostre linee d’attacco saranno
visibili, lampanti, esposte a un fuoco d’artiglieria che rasenterà il terreno
non appena usciranno allo scoperto e, per un tratto lungo la metà del loro percorso,
saranno sotto il tiro di una scarica di pallottole di fucile dalla quale
nessuno potrà uscire vivo. In breve, se il nemico si trova lì, sarebbe una
pazzia attaccarlo frontalmente; dev’essere raggirato con l’antichissimo
espediente di minacciare le sue linee di comunicazione, indispensabili alla sua
esistenza quanto il respiratore al palombaro in fondo al mare.
Ma come si può constatare se il nemico è davvero lì?
C’è un solo modo: qualcuno deve andare a vedere. La cosa più naturale e
ovvia da fare è mandare in avanscoperta gli uomini delle prime file. Ma in
questo caso risponderanno in modo affermativo con il sacrificio delle loro
vite; il nemico, acquattato in doppia fila dietro la parete di pietra e
nascosto dalla siepe, aspetterà finché non sarà in grado di contare i denti di ciascuno
degli assalitori. Alla prima raffica verrà falciata metà della linea degli
esploratori, l’altra metà verrà abbattuta prima di riuscire a portare a termine
la ritirata prevista.
Com’è alto il prezzo da pagare per soddisfare una curiosità!
A quale costo un esercito deve, talvolta, procurarsi le informazioni!
‘Lasciatemi pagare per tutti’ dice questo soldato valoroso, questo Cristo
dell’esercito!
Non c’è speranza, tranne quella nell’impossibile eventualità che non ci
siano soldati sulla cima. È vero, potrebbe preferire la cattura alla morte.
Finché avanzerà, la prima linea non farà fuoco… perché dovrebbe? Può giungere tranquillamente
tra le fila dei nemici e diventare un prigioniero di guerra. Ma in questo modo
verrebbe meno al suo scopo. Non risponderebbe alla nostra domanda; deve tornare
incolume oppure farsi uccidere davanti ai nostri occhi. Solo così sapremo come
agire. Se viene catturato… be’, avrebbero potuto farlo mezza dozzina di
sbandati.
Adesso ha inizio uno straordinario scontro mentale tra un uomo e un esercito.
Il nostro soldato di cavalleria, ormai a mezzo chilometro dalla cima, improvvisamente
svolta a sinistra e galoppa in direzione parallela rispetto alla cima. Ha
scorto il nemico; sa tutto. Una posizione vantaggiosa gli permette di dominare
dall’alto una parte del fronte. Se fosse qui, potrebbe raccontarcelo. Ma ormai
questo è impossibile; deve sfruttare nel modo migliore quei pochi minuti che
gli restano da vivere, costringendo il nemico a rivelarci quante più informazioni
possibili nel modo più esplicito… cosa che, naturalmente, quell’esercito
prudente non ha intenzione di fare. Non c’è tiratore in quelle schiere
acquattate, non c’è cannoniere dietro quei cannoni mimetizzati e caricati, che
ignori le esigenze della situazione e la necessità imprescindibile della pazienza.
Per di più, c’è stato tempo a sufficienza per ordinare loro di non fare fuoco.
È vero, un’unica fucilata potrebbe abbatterlo privandoci così di un’importante rivelazione.
Ma sparare è contagioso… e guardate con quale rapidità incede il giovane
ufficiale, senza mai fermarsi se non per far cambiare direzione al cavallo, mai
all’indietro verso di noi, mai in avanti verso i suoi carnefici.
Vediamo tutto ciò con il binocolo; sembra succedere a un tiro di schioppo;
vediamo tutto fuorché il nemico, di cui possiamo solo intuire la presenza, i
pensieri, gli scopi. A occhio nudo non si vede nient’altro che una sagoma nera
in groppa a un cavallo bianco, che si muove lenta a zigzag lungo il pendio di
una collina lontana… così lenta che sembra quasi strisciare.
Ora… osservando di nuovo con il binocolo… appare seccato per il fallimento,
o si è accorto dell’errore, oppure è impazzito; si sta lanciando verso la
parete, come se volesse superare con un salto la siepe e tutto il resto! Un
attimo dopo eccolo voltarsi nella direzione opposta e scagliarsi a tutta
velocità giù per il pendio… verso gli amici… verso la morte!
Immediatamente la parete viene sormontata da una cortina di fumo denso
che si estende per un centinaio di metri a destra e a manca e viene dissipata
quasi subito dal vento; prima che il rombo dei fucili ci raggiunga, il soldato
di cavalleria è smontato di sella. No, ritorna al suo posto; ha solo fatto
acquattare il cavallo. Si rialzano e riprendono la marcia!
Tra le nostre fila si leva un fragoroso urlo di gioia che dà sfogo all’insopportabile
tensione cui sono stati sottoposti i nostri sentimenti. E che fine hanno fatto
il cavallo e il cavaliere? Già, si rialzano e riprendono la marcia. Hanno davvero
ripreso la marcia: si stanno dirigendo alla nostra sinistra, in senso parallelo
rispetto alla parete ormai del tutto in fiamme e avvolta dal fumo.
I moschetti continuano a rombare e il bersaglio di ogni pallottola è
quel cuore coraggioso. A un tratto, una grossa nuvola di fumo bianco s’innalza
da dietro la parete. Un’altra e un’altra ancora, una dozzina di nuvole salgono
verso il cielo prima che il rimbombo delle esplosioni e il sibilo dei
proiettili raggiunga le nostre orecchie e che i proiettili stessi rimbalzino
attraverso la cappa di fumo sopra il nostro nascondiglio, colpendo un uomo qua e
là e provocando una confusione momentanea, un fugace pensiero egocentrico.
La polvere si disperde.
Incredibile!
Il cavallo e il cavaliere fatati hanno superato un burrone e si stanno inerpicando
su un altro pendio per smascherare un’altra cospirazione silenziosa, per
contrastare la volontà di un’altra schiera armata. Un attimo dopo s’infiamma
anche quella cima. Il cavallo s’impenna e agita le zampe anteriori nel vuoto.
Alla fine sono caduti.
Ma osservate di nuovo: l’uomo si è allontanato dall’animale morto. È
dritto in piedi, immobile, e brandisce la spada con la mano destra proprio
sopra il capo. È rivolto verso di noi. Adesso abbassa la mano all’altezza del
viso e la protende verso l’esterno, descrivendo una curva verso il basso con la
lama della spada. È un segnale indirizzato a noi, al mondo e ai posteri.
È il saluto che un eroe rivolge alla morte e alla storia.
L’incantesimo è di nuovo spezzato; i nostri uomini cercano di
acclamarlo, ma l’emozione li soffoca; lanciano grida dissonanti e roche;
stringono le armi e si accalcano con foga verso lo spiazzo aperto. I soldati
delle prime file, senza attendere gli ordini, sfidando gli ordini, avanzano a un’andatura
forsennata, come segugi sguinzagliati. I nostri cannoni parlano e quelli dei
nemici rispondono in coro; a destra e a sinistra, fin dove riusciamo a vedere, la
cima lontana, che adesso sembra così vicina, innalza le sue torri di fumo
mentre la gragnola di proiettili si riversa scrosciando sulle nostre schiere in
movimento. Le nostre bandiere emergono una dopo l’altra dalla foresta; le
nostre linee incedono una dopo l’altra, attirando la luce del sole sulle armi
lucenti. I battaglioni della retroguardia sono gli unici a obbedire agli
ordini: mantengono la distanza opportuna dal fronte ribelle.
Il comandante non si è mosso.
Ora allontana il binocolo dagli occhi e guarda verso destra e verso
sinistra.
Vede la marea umana riversarsi tutt’intorno a lui e alla scorta stretta
al suo fianco, come onde che si infrangono su uno scoglio.
Dal suo volto non traspare alcuna emozione: sta pensando. Guarda di
nuovo davanti a sé: i suoi occhi si voltano lentamente verso quella cima fatale
e tremenda. Con calma rivolge poche parole al trombettiere. Trallalà!
Trallalà! L’ordine si fa valere in virtù della propria autorità. Viene
ripetuto dalle trombe di tutti i comandanti subalterni; le stridule note
metalliche s’impongono sul rumore sordo e continuo dell’avanzata e si insinuano
nel rombo dei cannoni.
Fermarsi equivale a ritirarsi.
Le bandiere indietreggiano lentamente; le linee fanno dietrofront e le
seguono con aria cupa, reggendo i feriti; i soldati dell’avanguardia fanno
ritorno, raccogliendo i morti.
Ah, quante perdite inutili!
A quell’anima nobile il cui bel corpo giace lassù, così ben visibile
contro l’arido fianco della collina, non poteva essere risparmiata almeno l’amara
consapevolezza di una vana devozione?
Un’unica eccezione avrebbe guastato troppo la perfezione spietata
dell’eterno piano divino?
(A. Bierce)
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