giuliano

giovedì 28 febbraio 2019

SOFFRIRE A TEMPO (Seconda Parte)




















































Precedenti capitoli:

Soffrire a Tempo (Prima Parte)

Prosegue...

Nel nostro ed altrui Tempo Croce-fisso...














Hanno dovuto rigare il disco in quel punto, perché fa uno strano rumore. E c’è qualcosa che dà una stretta al cuore: ed è che la melodia non è minimamente toccata da questo piccolo tossicchiamento dell’ago sul disco. È così lontana, così lontana, dietro. Anche questo lo capisco: il disco si riga e si consuma, la cantante magari è morta, io sto per andarmene, sto per prendere il treno. Ma dietro l’esistente che cade da un presente all’altro, senza passato, senza avvenire, dietro questi suoni che di giorno in giorno si decompongono, sì squamano e scivolano verso la morte, la melodia resta la stessa, giovane e ferma, come un testimone spietato.

La voce tace. Il disco raschia un po’ e poi si ferma.

Liberato da un sogno importuno il caffè rumina, rimastica il piacere d’esistere. La padrona ha il sangue al viso, dà schiaffi sulle grosse guance bianche del suo nuovo amico, ma senza riuscire a colorirle. Guance di morto. Io, da parte mia, ristagno, quasi m’addormento. Tra un quarto d’ora sarò sul treno, ma non ci penso. Penso ad un americano sbarbato, dalle spesse sopracciglia nere, che soffoca dì caldo al ventesimo piano d’un edificio di New York. Sopra New York il cielo brucia. L’azzurro del cielo s’è acceso, enormi fiamme gialle vanno a lambire i tetti, i monelli di Brooklyn vanno a mettersi in mutandine da bagno, sotto gli idranti per innaffiare. La camera semibuia al ventesimo piano cuoce a pieno fuoco. L’americano dalle sopracciglia nere sospira, ansima, e il sudore gli cola giù per le guance. È seduto, in maniche di camicia, davanti al pianoforte, in bocca ha un sapore di fumo, e vagamente, vagamente, un’ombra di motivo nella testa.




Some of these days.

Tom arriverà tra un’ora con la sua fiaschetta piatta sulla natica; allora s’affonderanno tutt’e due nelle poltrone di cuoio e berranno bìcchieroni di alcool ed il fuoco del cielo verrà ad infiammare le loro gole, sentiranno il peso d’un immenso sonno torrido. Ma prima bisogna annotare quest’aria.

Some of these days…

La mano madida afferra una matita sul piano.

Some of these days,

You’ll miss me honey.

Sarà andata così.

Così o in un altro modo, ma poco importa.

È COSÌ che è nata.




Per nascere ha scelto il corpo logoro di quell’ebreo dalle sopracciglia di carbone. Teneva mollemente la sua matita, e dalle sue dita inanellate cadevano sulla carta delle gocce di sudore. E perché non me? Perché occorreva proprio quel grosso vitello pieno di sporca birra perché si compisse quel miracolo?

Maddalena, vuoi rimettere il disco? Una volta sola. prima ch’io parta. Maddalena si mette a ridere. Gira la manovella, ed ecco che ricomincia. Ma non penso più a me. Penso a quel tale laggiù, quello che ha composto quest’aria, un giorno di luglio, nel buio calore della sua camera. Provo a pensare a luì attraverso la melodia, attraverso i suoni bianchi e aciduli del sassofono. Lui ha fatto questo. Aveva dei fastidi, non tutto gli andava come avrebbe dovuto: conti da pagare - e poi doveva esserci in qualche posto una donna che non pensava a lui nel modo com’egli avrebbe desiderato - e poi, c’era questa terribile ondata di caldo che trasformava gli uomini in pozze di grasso fondente. Tutto ciò non ha niente di molto carino né di molto glorioso. Ma quando sento la canzone e quando penso che è stato quel tipo li che l’ha fatta, trovo la sua sofferenza e la sua traspirazione. commoventi. Ha avuto fortuna. Del resto, neanche se ne sarà reso conto. Avrà pensato: con un po’ di fortuna questo trucchetto mi renderà pure una cinquantina di dollari!

Ebbene, è la prima volta, da anni, che un uomo mi pare commovente.




Vorrei avere qualche notizia, su questo tale. M’interesserebbe sapere che genere di fastidi aveva, se aveva una donna o se viveva solo. Non già per umanitarismo: al contrario. Ma perché ha fatto questo. Non ho desiderio di conoscerlo - d’altronde magari è morto. Solo di ottenere qualche ragguaglio su dì lui e di poter pensare a luì, di quando in quando, ascoltando questo disco. Ecco. Immagino che non gli farebbe né caldo né freddo, a costui, se gli dicessero che nella settima città della Francia, vicino alla stazione, c’è qualcuno che pensa a lui. Ma io sarei felice, se fossi al suo posto: l’invidio.

Bisogna che parta.

Mi alzo, ma resto per un momento esitante, vorrei sentir cantare la negra. Per l’ultima volta. Canta. Eccone due che si son salvati: l’ebreo e la negra. Salvati. Magari sì saran creduti perduti fino alla fine, annegati nell’esistenza. E tuttavia nessuno potrà pensare a me come io penso a loro. Nessuno, nemmeno Anny. Per me sono un po’ come morti, un po’ come eroi da romanzo; si son lavati del peccato d’esistere. Non completamente beninteso - ma quel tanto che un uomo può fare. Quest’idea mi sconvolge d’un tratto, perché non speravo nemmeno più questo. Sento qualcosa che mi sfiora timidamente e non oso nemmeno muovermi per paura che scompaia. Qualcosa che non conoscevo più: una specie di gioia.

La negra canta.

Allora, è possibile giustificare la propria esistenza?

Un pochino?

Mi sento straordinariamente intimidito. Non che abbia molta speranza. Ma sono come uno completamente gelato dopo un viaggio nella neve…

(J. P. Sartre & Associati Eretici Esiliati)












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