giuliano

giovedì 13 giugno 2019

IL DISPIACERE DI COTAL COMPAGNIA (30)




















Precedenti capitoli:

L'identità della Natura (29)  (&)

...Più o meno negli stessi anni...

Prosegue nel detto...

Dispiacere di cotal 'Compagnia' (Seconda parte) (31)














Per entrare in una condizione di solitudine l’uomo ha bisogno di allontanarsi tanto dalla propria stanza che dalla società. Mentre leggo e scrivo non sono in solitudine, anche se non c’è nessuno con me. Ma se un uomo vuole avvero stare solo, guardi le stelle. I raggi che provengono da quei mondi celesti stabiliranno una separazione tra lui e le cose tangibili. Si potrebbe pensare che l’atmosfera sia stata creata trasparente proprio allo scopo di dare all’uomo, attraverso i corpi celesti, la perpetua presenza del sublime. Quanto sono grandiosi, visti dalle strade delle città! Se le stelle apparissero una sola notte ogni mille anni, davvero potrebbero gli uomini credere e adorare, e serbare per tante generazioni il ricordo della città di Dio che è stata loro mostrata! Ma spuntano ogni notte questi messaggeri di bellezza, e illuminano l’universo con il loro sorriso ammonitore. Le stelle destano una certa riverenza perché, seppur sempre presenti, sono inaccessibili; nondimeno, tutti gli oggetti naturali suscitano un’impressione analoga quando la mente è aperta alla loro influenza. La natura non indossa mai un’apparenza mediocre. E l’uomo più sapiente non riesce a estorcerne il segreto, né perde la sua curiosità quand’anche ne abbia scoperto tutta la perfezione. La natura non diventa mai un trastullo per uno spirito saggio. I fiori, gli animali, le montagne riflettono la saggezza della sua ora migliore, così come hanno deliziato la semplicità della sua infanzia. Quando parliamo di natura in questo modo, abbiamo in mente un sentimento preciso, benché estremamente poetico. Intendiamo l’unità dell’impressione prodotta dai molteplici oggetti naturali. È questo ciò che distingue il legname del taglialegna dall’albero del poeta. L’incantevole paesaggio che ho visto questa mattina è senza dubbio costituito da venti o trenta fattorie. Miller possiede questo campo, Locke quell’altro e Manning il bosco più in là. Nessuno di loro, però, possiede il paesaggio.






…Poterono fare né i leoni né i cannoni Krupp, l’hanno fatto le Alpi... Ho paura!

— Non lo dite, Tartarino!

— E perché no! – fece l’eroe con grande dolcezza

– lo dico perché è la verità...

E tranquillamente, con semplicità, confessò l’impressione che aveva ricevuta dal quadro del Doré, quella catastrofe del Cervino che aveva sempre davanti agli occhi: ora poiché non amava affatto esporsi a pericoli del genere, avendo sentito parlare di una guida straordinaria capace di farglieli evitare, era appunto venuto a mettersi nelle sue mani.




— Voi, Gonzaga – aggiunse col tono più naturale – non siete mai stato una guida, vero?

— Ma sì – rispose Bompard con un sorriso

– guida sì; soltanto, non ho mica fatto tutto ciò che ho raccontato...

— D’accordo! – approvò Tartarino.

E l’altro a denti stretti:

— Usciamo un po’ sulla strada... potremo parlare con più libertà.




Scendeva la notte: un soffio di vento tiepido e umido rotolava le nubi nere e bambagiose nel cielo dove il tramonto aveva lasciato come dei raggi di pulviscolo grigio. I due amici camminarono a mezza costa, verso Fluelen, incontrando sul loro passo alcune mute ombre di turisti affamati che tornavano all’albergo, e andarono anch’essi come ombre, senza scambiare una parola, finché giunsero alla lunga galleria interrotta dalla parte del lago da belle arcate a balcone.

— Fermiamoci qui – fece Bompard con la sua voce chioccia che rimbombò come un colpo di cannone sotto la volta.

E sedutisi sul parapetto, contemplarono l’ammirabile vista: il lago in basso, e sopra il lago un’erta scoscesa di abeti e di faggi neri e folti; e dietro, montagne più alte dalle cime ondulate, e dietro ancora, delle altre sfumate in azzurro come nuvole; a metà la striscia bianca appena visibile di un ghiacciaio chiuso fra i baratri, che ad un tratto risplendette di fuochi iridati, gialli, rossi, verdi: illuminavano la montagna con fuochi di bengala! Da Fluelen partivano i razzi che in alto poi si rompevano in stelle multicolori, e il lago era in ogni senso percorso da lampioncini veneziani su battelli invisibili pieni di gente in festa e di musiche: un vero scenario d’incanto inquadrato fra le semplici e fredde mura di granito della galleria.




— Che paese ridicolo, questa Svizzera…

– esclamo Tartarino.

Bompard si mise a ridere:

— Ah, già... la Svizzera... Prima di tutto, la Svizzera non esiste! Oggi come oggi, la Svizzera come tanti altri analoghi posti delle Alpi o Dolomiti, signor Tartarino, non sono altro che un vasto Kursaal aperto da giugno a settembre, un vero Casino panoramico dove viene per distrarsi gente da tutte le parti del mondo, e che è condotto da una Compagnia ricca a centinaia di migliaia di milioni, con sede a Ginevra, New York, Mosca e a Londra. Pensate se ce n’è voluti di soldi per affittare, accomodare, abbellire tutto questo po’ po’ di territorio: laghi, foreste, montagne e cascate; per mantenere un popolo di impiegati e di comparse, e per piantare sulle vette più alte alberghi spettacolosi con gas, telegrafo e telefono...

— Eppure è vero – pensò a questo punto, a voce alta, Tartarino ricordandosi del Righi.




— Altro che vero!... E voi ancora non avete visto niente... Se vi inoltrerete un po’ nel paese, non troverete più un cantuccio che non sia truccato e pieno di meccanismi come il palcoscenico dell’Opera: cascate illuminate a giorno, contatori all’ingresso dei ghiacciai, e per le ascensioni ferrovie idrauliche e funicolari senza risparmio. Peraltro, la Compagnia, per far piacere alla sua clientela di inglesi e di americani arrampicatori, ha conservato ad alcune montagne famose, come la Jungfrau, il Monaco, il Finsteraarhorn, il loro aspetto pericoloso e  selvaggio, nonostante che anche quelle non presentino ormai più pericoli delle altre.

— Ma i crepacci, caro mio, quei terribili crepacci... Se, per esempio, uno ci cascasse dentro?

— Cascherebbe sulla neve, signor Tartarino, e non si farebbe niente di male: c’è sempre, laggiù in fondo, un portinaio, un cacciatore o qualche altro che vi raccatta, vi spazzola, vi sbatte e vi domanda con buona grazia: «Ha bagagli il signore?»...




— Ma dite davvero, Gonzaga?

E Bompard sempre più serio e grave:

— La manutenzione dei crepacci è una delle spese più ingenti per la Compagnia.

Seguì un minuto di silenzio sotto il tunnel.

Tutto ormai taceva d’intorno: erano finiti i fuochi colorati, non c’era più polvere nel cielo né barche nel lago; ma s’era alzata la luna e dava al paesaggio un tono diverso eppur sempre convenzionale, bluastro, magnetico, con degli angoli di una oscurità impenetrabile...




Tartarino esitava ad accettare come oro colato le parole del compagno. Nondimeno andava riflettendo su quanto aveva già visto da sé di straordinario in quattro giorni: il sole del Righi, la farsa di Guglielmo Tell; e le invenzioni di Bompard non gli apparivano poi del tutto inverosimili, tanto più che in ogni tarasconese il millantatore è foderato di credulità.

— Ma veramente, mio caro amico, come spiegate allora certe spaventevoli catastrofi, ad esempio quella del Cervino?

— È accaduta sedici anni fa... a quel tempo non c’era ancora la Compagnia, signor Tartarino.




— E il disastro dell’anno scorso sul Wetterhorn: due guide seppellite insieme coi viaggiatori?

— Ma ogni tanto ci vuole, già, per attirare gli alpinisti... Se in una montagna non si fracassa mai nessuno, gli Inglesi non ci vengono più... Il Wetterhorn già da qualche tempo era in ribasso: dopo quel piccolo fattaccio gli incassi sono subito rialzati.

— Allora... le due guide?...

— Stanno benissimo, loro e i viaggiatori: li hanno soltanto fatti sparire mantenendoli all’estero per sei mesi... È una réclame costosa, è vero, ma la Compagnia ne ha abbastanza per permettersi simili lussi.




— Statemi a sentire, Gonzaga...

E così dicendo Tartarino s’era alzato e aveva poggiato una mano sulla spalla dell’ex-gerente:

— Voi non vorreste, vero? che mi accadesse qualche disgrazia... Ebbene, parlate con tutta franchezza... I miei mezzi come alpinista li conoscete: sono mediocri.

— È vero, anzi mediocrissimi!

— Ora, ritenete che io possa, senza espormi troppo, tentare l’ascensione della Jungfrau?

—  per me, ci metterei la testa nel fuoco… Non dovete fare altro che fidarvi della guida, già!

— E se mi vengono le vertigini?




— Chiudete gli occhi.

— E se sdrùcciolo?

— Lasciatevi andare... tanto è come al teatro: vi sono i praticabili: non c’è alcun rischio.

— Oh se ci foste voi, lassù, per dirmelo, per ripetermelo... andiamo, vecchio mio, una bella risoluzione.

Venite con me... Bompard, manco a dirlo! non domanderebbe di meglio, ma ha sulle spalle i suoi peruviani per tutta la stagione; e siccome Tartarino si meraviglia di vedergli accettare le funzioni di corriere, di subalterno:

— Che volete, signor Tartarino... è nel contratto: la Compagnia ha il diritto di impiegarci come meglio le pare. E qui comincia a contare sulle dita tutte le parti che aveva fatto da tre anni a quella parte; guida nell’Oberland, suonatore di corno delle Alpi, vecchio cacciatore di camoscio, antico soldato di Carlo decimo, pastore protestante sulle montagne...

— Che roba è? – domanda con sorpresa Tartarino,

E l’altro, sempre con la stessa calma:

— Ma sì! Viaggiando per la Svizzera tedesca, vedete, a volte, a delle altezze vertiginose, un pastore protestante che predica all’aperto ritto sopra una roccia o seduto sopra un rustico sedile di legno. Intorno a lui si raggruppano, in pose pittoresche, caprai e formaggiai coi loro berretti di cuoio fra le mani, donne pettinate e vestite secondo i figurini del cantone; e il paesaggio è quanto mai carino: pascoli verdi o di fresco tagliati, spruzzi di cascate fin sulla strada, e su ogni balza della montagna greggi e armenti coi grossi campanacci sonanti. Ebbene: sono tutte truccature e tutte comparse. Soltanto, nessuno è a parte del segreto all’infuori degli impiegati della Compagnia: guide, pastori, corrieri, albergatori; e costoro hanno interesse a non rivelarlo per paura di far scappare la clientela.




L’Alpinista rimase sbalordito, anzi addirittura muto: il che per lui era il colmo della stupefazione. In fondo in fondo, per quanto avesse qualche dubbio sulla veridicità di Bompard, si sentì rassicurato e più calmo riguardo alle ascensioni alpestri; e la conversazione si fece in breve allegra: i due parlarono di Tarascona, delle loro belle scorpacciate di risate di allora, quando erano più giovani.

— A proposito di scherzi – disse ad un tratto Tartarino – me ne hanno fatto uno bellissimo al Righi-Kulm: figuratevi che stamattina...

E si mise a raccontare della lettera appiccicata allo specchio, a declamarla con enfasi: «Francese del diavolo... Una mistificazione, no?».

— Chi lo sa?... Forse... – rispose Bompard che parve prendere la cosa più sul serio. E s’informò se Tartarino durante il soggiorno al Righi avesse avuto che dire con qualcuno e si fosse lasciato scappare una parola in più del necessario.

— Davvero, già! una parola in più! se non si può nemmeno aprir bocca con tutti questi inglesi e tedeschi che stanno muti come lucci col pretesto della buona educazione. Peraltro, riflettendo un po’, si ricordò di avere messo a posto, e alla svelta, una specie di cosacco, un certo  Mi...Milanof.

— Manilof – corresse Bompard.

— Ah, lo conoscete?... A dirla fra noi credo che quel Manilof ce l’avesse con me per causa di una fanciulla russa...




— Sì... Sonia... – mormorò Bompard sovrappensiero.

— Conoscete anche lei? Ah, compare, che cosina fine! che deliziosa tortorella grigia! che bottoncino di rosa!...

— Sonia di Wassilief... È quella che ammazzò con un colpo di rivoltella, in mezzo alla strada, il generale Felianine, presidente del tribunale militare che aveva condannato suo fratello alla deportazione a vita.

- Sonia assassina!? quella bimba, quella biondina!...










ù o meno negli stessi anni....

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