Precedenti capitoli:
L'Eretico Fuggito (1)
Prosegue in:
Un pazzo nascosto nel folto del bosco (3/4)
(15) Nella grande
vallata dipinta un lupo si ferma, mi osserva e contempla, mi fissa, forse vede
ciò che anche io vedo. Non ho paura è come se lo conoscessi, annusa l’aria, muove l’orecchio, ode la voce
di un lontano rumore come una nota sospesa a mezz’aria, da qualche parte l’ha
udita, ecco perché mi guarda e mi fissa. Ode la musica, vede la vita, lontano
dove solo il fiuto supera la vista; e dietro quello c’è un altro quadro: un
tempo l’aveva dipinto, amato venerato e difeso. Con cui aveva discusso ogni
colore del vento, con cui aveva condiviso un lamento lontano. Con cui aveva
suonato una strofa fuori dalla cornice, ove un cacciatore appese la sua vita, il
suo abito, trofeo raro ad un camino, canto ubriaco di un villaggio appena
insediato.
(16) Così lo ritraggo,
profilo raro: vecchio saggio che non conosce ora, appena sceso, passo stanco da
un bosco lontano come fosse l’eterno treno del suo cammino strano. Guarda il
bosco come fosse l’eterna partenza per ugual viaggio, e lui ora sceso è armato
solo del suo antico coraggio, l’aveva imparato da un tipo strano che un giorno
accarezzò il suo profilo raro, e con il latte aveva sfamato il suo appetito
lontano, istinto raro di una natura abituata ad azzannare ogni estraneo,
viandante per quel mondo immacolato.
(17) Forestiero in
quell’acqua pura, e se per mia cultura con l’acqua io ho dissetato la sua prima
venuta, con la stessa acqua abbiamo pregato il Dio Straniero e creatore di
questa eterna visione… di natura.
Mi fermo, ora la stessa
acqua della sacra visione mi asciuga la fronte, mi disseta, battezza il corpo
stanco di questo viandante venuto da lontano. L’acqua asciuga il sudore antico
perché al dipinto ho aggiunto quel profilo, quasi non riesco a mormorare
parola, solo un suono strano come un ululato.
(18) Il bastone del
viandante che approdò in quel primo quadro ora è uno strumento di caccia raro,
caverna che bosco non era mi dona certezza per un riparo, perché è la natura
che per prima crea.
(19) Fermo al mio
albero sento la musica delle foglie che frusciano al vento, conosco le note
antiche del dolce dormire, ma non dormo, veglio la mia prima esistenza, e
quando il vento mi accarezza ammiro il tempo di quella sublime preghiera. Passa
e corre, ora, la mia visione, perché priva di parole in quell’ora sospesa.
Sospesa come una foglia al vento che ora prego, e lei contraccambia con un
inchino. Rimaniamo privi di parole alla luce di quel primo mattino con solo il
mio e suo respiro. Rimaniamo privi di pensieri in balia di una intuizione,
brilla come una stella e si scorge lontana anche nel sorriso del primo mattino,
poi scompare, a noi ha donato un altro respiro.
(20) E’ sparita
all’improvviso per divenire una foglia di quel paradiso, quando l’ho guardata
mi ha fatto un sorriso, poi si è avvicinata ed ha cambiato colore come
l’abito di un prato fiorito. Ne ho visti tanti in quel primo mattino che se pur
freddo mi hanno donato un eterno sorriso.
(21) Il cielo
all’improvviso, scuro di una notte insonne è divenuto fiorito, e nel dipinto si
è vestito con tante luci di stelle su un prato infinito. I colori e le luci
donano una strana impressione, perché in questa visione il tempo mi è nemico,
ed anche se tu, passando ammiri un viandante con il suo dipinto, lo scrittore
con il suo libro, la parola con la sua penna, pensiero antico: io vedo e scorgo
un altro mondo…, mio caro amico.
(22) Ed in questa
avventura non mi accompagna la paura, ma un onda che danza al ritmo della vera
natura. Un onda che fluttua come acqua che inonda una terra sconosciuta, e pur
rimanendo sospesa ed eterna, come fosse una nuvola, a lei io brindo alla sua
prima parola, colori e panorami scorgo come fossi immerso nell’oceano di una
lunga notte: ora scanza la paura e da una foglia mi scruta ed insegna la prima
strofa.
(23) Lo stupore è
immenso in questo Secondo… giorno. Secolo, millennio, nell’onda di luce desiderio più forte di ogni
parola, proprio perché priva di nome in quell’ora, …. Dio contempla la sua
opera. Lì vicino il mio amico, anche lui assopito, forse perché il sogno non si
è smarrito, spirito e guardiano di un ricordo dipinge il mio volto, fuori dalla
caverna mi veglia ad ogni tratto ulula alla luna per narrarne il nome, come l’antro
di uno sciamano che tiene il suo spirito sulla mano. Ringhia ad ogni rumore
strano che non sia pioggia vento o altro elemento con lui nato, ad ogni nemico
di quel sogno lontano perché non ancora parola in quel quadro, in quella
pagina…, ma volo di sciamano. Lascia la sua impronta su una parete dove la
pietra è solo un foglio o una tela…, per il dipinto della vita.
(24) Cerco di imitare
il suo urlo e con la gola fatico, come se fossi sprofondato in fondo ad un
sogno antico, non riesco a svegliarmi da quel precipizio di un primo mattino.
Come quando il sogno si fa profondo e premonitore, pur sognando si è certi di
un altro mondo ove l’uomo sta navigando, e si è incerti in quel tempo senza
parole dove si è scivolati in un mondo innominato assente al visibile creato. Si
vuol risalire la china, scalare la parete per destarsi da quella terra lontana
ove ogni confine appare vago. Si cerca un appiglio, e all’improvviso un urlo di
stupore squarcia il vento, incide la tela, intona parola sul tomo della vita.
(25) Il fiero lupo mi
guarda e sorride, la foglia brilla nel cielo di quella eterna mattina. Come mi
fossi appena svegliato da un letargo antico senza fine e principio, come fossi
rinvenuto all’improvviso da un sonno senza inizio e fine. Provo quella prima
parola, ammiro il quadro ora, rileggo la strofa della prima rima, lontano il lupo mi guarda e ride,
come fosse lui il padrone di quel primo intuire. …Lui che di notte ulula alla
luna come per annunciare una nuova venuta, ed di giorno accarezza ogni strofa
della poesia nominata vita.
(G. Lazzari, Lo Straniero)
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