giuliano

lunedì 18 gennaio 2021

ECOCENTRISMO (14)

 










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Ma la mentalità corrente e il mondo ufficiale restano su una posizione ottocentesca, quella di un universo meccanico in cui solo l’essere umano, dotato di mente-anima, ha diritto a considerazione morale!


Invece il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci dà la speranza di ritrovarci in un mondo che riscopre lo spirito dell’albero, della palude, del torrente….

 

Di solito nel nostro mondo si è formata l’idea che il lavoro sia sempre qualcosa di positivo, da premiare indipendentemente da ogni altra considerazione. Così si pensa che chi lavora di più debba automaticamente guadagnare di più, che in sostanza sia più bravo di chi lavora di meno: il lavoro ha acquistato un valore etico in sé, anche se si tratta di lavoro che danneggia l’intero Organismo terrestre o contribuisce a qualche patologia della Biosfera.

 

Solo recentemente si è cominciato a considerare negativa almeno la produzione di sostanze inquinanti, limitando però l’esame ad ogni singolo processo locale, come se fosse possibile isolarlo.

 

Non si è mai tenuto come valore etico il mantenimento in condizioni vitali della Biosfera terrestre, oppure degli ecosistemi di cui il processo fa parte.

 

Non si è neppure considerato il danno, se non in tempi recentissimi e limitatamente a specie rare, arrecato ad altre specie viventi o a processi naturali.

 

In sostanza, è mancata la percezione della non-separabilità di ogni processo lavorativo umano dall’ecosistema globale. È invece indispensabile avere sempre presente questa percezione, tenere come primo valore l’etica della Terra.

 

Alla fine del ventesimo secolo ha cominciato a delinearsi una disciplina nuova, che collega il malessere esistenziale umano alla degradazione dell’Ecosistema terrestre e riconosce che anche la psiche umana è un prodotto della Terra.

 

Noi siamo la Terra!

 

Il collegamento fra la mente collettiva, gli stati psichici individuali e la condizione ecologica è molto reale, anche se ben pochi ci hanno mai pensato, almeno per ora. La psicologia ha bisogno di riconoscere di non poter più curare la psiche umana senza collegare il malessere della mente con il degrado dell’ecosistema.




L’ecologia a sua volta deve riconoscere l’importanza di una salute partecipativa della mente umana per far cessare la degradazione del Complesso Terrestre. Occorre risvegliare il nostro inconscio ecologico, che richiama l’inconscio collettivo di Jung, occupandoci anche dei nostri equilibri interiori.

 

C’è spesso una mancanza di psicologia nell’attuale strategia ambientalista, che insiste con campagne improntate sulla colpevolizzazione: così facendo si attivano meccanismi di difesa a livello psichico che producono l’effetto opposto perché sollevano più ansia di quanta molte persone siano pronte a gestire. Spesso la reazione della psiche davanti a novità sgradite o a un eccesso di ansia è la negazione.

 

Secondo l’ecopsicologia, è necessario emancipare l’ecologia da semplice branca della biologia dalla quale è nata a una scienza delle relazioni e dell’insieme. L’eccessivo specialismo sta portando alla perdita della consapevolezza che siamo in presenza di un malessere complessivo, della Terra e della nostra specie. Il senso del nostro stare al mondo è dato anche dall’estrema brevità della nostra presenza in confronto all’esistenza di tutta la Vita sulla Terra: quello che ci ha preceduto per così lungo tempo dà un significato alla nostra stessa vita.

 

La situazione è tale che non possiamo permetterci di aspettare che la soluzione venga dall’alto, che venga proposta o imposta dalle autorità.

 

Ritrovare l’attenzione, il rispetto e l’amore per la Natura, come conseguenza della consapevolezza che ne siamo parte integrante, vuol dire ridare senso alla nostra vita attraverso un percorso multidisciplinare che comprende psicologia, ecologia, filosofia e antropologia, lavorando con tecniche psicologiche, meditazione, attività creative, passeggiate nella natura e antiche tecniche sciamaniche.

 

L’ecopsicologia, rifacendosi a una concezione sistemica della realtà, propone una nuova visione del rapporto uomo-natura e la traduce in strategie concrete applicabili in ambito terapeutico, educativo, formativo, ambientalista e comunicativo per favorire il risveglio della consapevolezza di essere tutti rami dello stesso albero.

 

Le sue applicazioni concrete sono un arricchimento con nuovi spunti di riflessione, nuove forme di divulgazione della sensibilità ecologica nelle scuole, nella formazione aziendale, nelle associazioni e in ambiti comunitari e ricreazionali.

 

Sintetizzando alcuni pensieri di Joanna Macy, che è una delle fondatrici della nuova disciplina, possiamo dire che:

 

Il nucleo della mente è l’inconscio ecologico. La repressione dell’inconscio ecologico è la radice profonda della follia insita nella società industriale. Ritrovare l’accesso verso l’inconscio ecologico vuol dire ritrovare la via verso la salute psicofisica dell’individuo, della società e dell’ecosistema; siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto i fiumi e gli alberi, intessuti dello stesso intricato flusso di materia-energia-mente.




(4) La norma etica fondamentale dell’ecosofia di Naess segue un principio supremo, assieme a quello dell’egualitarismo biosferico, dell’Autorealizzazione (Self Realization) il quale fa un tutt’uno con il concetto del Sé ecologico (ecological self). Segue naturalmente nel senso che non si tratta meramente di una norma etica inserita in una deontologia, ma della naturale conseguenza dell’aver interiorizzato, assimilato, una certa visione del mondo (total view o visione totale).

 

L’etica quindi, nell’ottica di Naess, procede dall’ontologia ambientale e da una forma di realismo più profondo (deepened realism) rispetto a quello del pensiero atomistico. Il pensiero gestaltico ha un’esigenza sistemica, la quale significa che: Le parti non possono essere isolate, né si può isolare alcuna relazione causale.

 

Da qu quest’idea, per cui non esiste alcuna realtà frazionabile autosussistente ma soltanto un sistema relazionale in cui ciascun essere vivente è nodo di raccordo con altri esseri, deriva anche il concetto di un più ampio e profondo rispetto al ristretto io personale o con la lettera minuscola la cui realizzazione dipende dalla capacità di trascendere l’isolamento egoistico verso forme via via più estese di interrelazione e identificazione.

 

L’Autorealizzazione (self realization) implica quindi un’espansione e un approfondimento del , al fine di porlo in contatto con il più ampio Sé ecologico. Un esempio di ecosofia simile a quella di Naess basata cioè sull’idea di apertura ad un senso espanso del è la cosiddetta ecologia transpersonale di Warwick Fox, sorta dall’incontro tra l’Ecosofia T e la psicologia transpersonale; la quale evidenzia come al fine di giungere ad una piena autorealizzazione personale sia necessario estendere (tramite un processo di identificazione) il proprio sé individuale al Sé planetario.

 

(1/3 G. Dalla Casa; 2/4 F. Sommariva)








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