Precedente capitolo:
Gente di passaggio: 27 Dicembre 1548... (non esiste l'inferno nel mondo del buon Dio...) (90)
Prosegue in:
Gente di passaggio: il senso del 'viaggio' (92)
... Rimandavano il momento della scelta. Ma quel momento era ormai attuale
e urgente, andavano predicando i portavoce più intransigenti dei due
schieramenti, quello cattolico (‘papistico’, per i nemici) e quello evangelico
(‘luterano’). Se da parte cattolica la ‘guerra spirituale’ poteva ormai valersi
di uno strumento rinnovato e rinvigorito come l’Inquisizione romana, da parte
evangelica, fu diffuso in italiano un ‘Libretto consolatorio’ che invitava ad
affrontare animosamente la persecuzione religiosa e a considerarla come il
segno dell’appartenenza a Cristo, coerentemente col principio della ‘teologia
della croce’ per cui Dio si rivela nell’afflizione (un esempio valido fu Hus…).
Su questo sfondo di incertezze e discussioni, si consumò nel secondo
semestre del 1548 il dramma di Francesco Spiera. Vi si rispecchiano i
turbamenti e le lacerazioni di un duro passaggio epocale. Non c’era più una
sola chiesa: non c’era più una sola verità per i cristiani. La scelta doveva
essere compiuta all’interno delle coscienze: ed era una scelta che non
consentiva alternative né compromessi. Nessuna penitenziaria romana poteva più
cancellare la colpa, nessuna opera buona poteva addolcire la sentenza di un Dio
offeso. Ai cristiani si rivolgeva ora il duro appello paolino che aveva
sferzato gli ebrei: dovevano scegliere e avevano poco tempo per farlo. Dopo,
non c’era più salvezza. Non c’era posto per astuzie né era consentito
collocarsi al di sopra delle parti….
Non è da dimenticare in questa o qualsiasi altra sede, che la cultura
clericale aveva lungamente battuto sul tasto delle colpe umane per far
funzionare (per secoli, si badi bene… al pari di un regime dittatoriale…)
meglio i sistemi delle penitenze, dei giubilei, delle indulgenze con le quali,
fra l’altro, si finanziavano anche sanguinose guerre.
Chi credeva che il papa fosse l’Anticristo doveva manifestare le sue
convinzioni: questa era la vera novità. Durava ancora la memoria della protesta
degli ‘spirituali’ contro la Chiesa ufficiale (ne abbiamo parlato con un altro
disperato caso: Fra Michele Minorita…): ma la loro scelta contro il
papa-Anticristo era stata quella di nascondersi, di aspettare: ‘Fuggian,
fuggian, o car fratelli/ o piuttosto ascondiaci’, questo era stato il loro
invito. Ora, la sola idea del nascondimento suscitava la più violenta delle
condanne: la condanna all’Inferno. E
toccò a Francesco Spiera sperimentarlo. Appena ebbe parlato pubblicamente
contro la verità che la sua coscienza aveva abbracciato, egli seppe di essere
definitivamente morto: la vita fisica che aveva guadagnato era stata pagata col
prezzo supremo della perdita dell’anima. La morte fisica fu una conseguenza
della morte morale. Una storia straordinaria, drammatica e concentrata nel
tempo, subito osservate e da allora in poi lungamente meditata dalla nuova
religione europea della coscienza.
Il suo caso assunse un valore emblematico.
Esso fu uno specchio per i drammi e i conflitti che la spaccatura
ideologica dell’identità cristiana scatenò in tutta Europa. Fu uno specchio
veneziano e italiano, in primo luogo: ma
poi, risolta l’incertezza italiana, sopravvisse definitivamente come modello
terrificante per l’Europa riformata, mentre in Italia la vittoria cattolica ne
spense del tutto il ricordo.
Proprio per questa funzione esemplare assunta immediatamente dalla
vicenda, i resoconti contemporanei furono numerosi. Ciò non rende più semplice
la ricostruzione dei fatti; chi scrisse sull’esperienza vissuta dallo Spiera lo
fece con animo turbato e commosso, verificando su quella vicenda le ragioni
delle proprie scelte. Fu un dramma umano dalla tragica conclusione: si svolse
tra il 1° luglio 1548 – data dell’abiura solenne – e il 27 dicembre dello stesso anno; quel giorno, pre Zuanne Ancilloto di
Cittadella si recò a casa dello Spiera per amministrargli l’estrema unzione, ma
lo trovò in fin di vita: ‘non attendeva più… et… a hore tre de giorno, vel
circa, morire’.
Quella morte non giunse inattesa: era stata prevista e annunziata.
Anzi, in qualche modo la morte fisica fu come preceduta da una decisione di
morte profonda e irrevocabile.
Chi aveva pronunziato la sentenza?
Dio stesso, secondo lo Spiera: la sua morte era la vendetta di Dio
annunziata contro i negatori della verità. A chi lo ascoltava, Spiera allegava
i passi delle Scritture dove era scritta la sua condanna: dal Vangelo di san
Paolo, citava: ‘chi una volta illuminato, era poi caduto’; chi,
volontariamente, cadeva nel peccato dopo aver ricevuta la ‘notitia veritatis’,
non doveva aspettarsi perdono ma vendetta.
In pochi mesi Francesco Spiera vide compiersi la sua condanna. Fu un
lento, inesorabile suicidio. Sarebbe stato un suicidio vero e proprio se non lo
avessero sorvegliato. Gli chiesero un giorno se, potendolo fare, si sarebbe
ucciso. Rispose: ‘Datemi una spada e vedrete’. Non gliela dettero, ma l’ultimo
giorno della sua permanenza a Padova, mentre lo stavano preparando per
ricondurlo a Cittadella, una spada si trovò a portata della sua mano. L’afferrò
d’impeto; ma i figli furono pronti a disarmarlo. Il suicidio era – nell’etica
cristiana – la porta della dannazione eterna. Non per niente, la causa del
suicidio era individuata nella tentazione del demonio, persuasore di
disperazione. Di conseguenza, chi usava violenza contro di sé era dannato senza
rimedio. Dunque, tentare di uccidersi era sottoscrivere il decreto di condanna
che, secondo lo Spiera, era stato emesso irrevocabilmente contro di lui.
Il suo caso non fu isolato: la cultura dell’antico regime conobbe un sentimento di disperazione davanti alla morte eterna certamente non inferiore per intensità al sentimento, ai nostri tempi più familiare, della disperazione per la minaccia di morte fisica. Ci furono altri suicidi tentati per la convinzione di essere irrimediabilmente dannati; e ci furono anche celebri casi di regicidi in nome dell’ortodossia, spinti all’attentato suicida dalla speranza di cancellare peccati imperdonabili.
Il sentimento della disperazione nasceva allora dalla paura non della
morte terrena ma da quella della morte eterna. Su questo sfondo, si colloca il
caso di Francesco Spiera con la sua indubbia originalità. Nella sua
disperazione, il sentimento interiore della condanna irrevocabile fulminata da
Dio stesso (mista alla calunnia del popolo…) si alimentò del conflitto tra due chiese:
quella a cui lo Spiera era stato riammesso in seguito all’abiura ( e che da lui
era ritenuta falsa) e quella dei veri credenti da cui l’abiura lo aveva
estromesso. Era una scomunica interiore, che si sostituiva a quella ufficiale e
formale della chiesa: mentre la scomunica ecclesiastica aveva perso ogni
terribilità, ridotta com’era a campo di negoziazioni e transizioni anche in
danaro, risorgeva una scomunica tanto più spaventosa quanto più radicata nel
verdetto della coscienza.
(A. Prosperi, L'eresia del Libro Grande)
(A. Prosperi, L'eresia del Libro Grande)