giuliano

mercoledì 25 dicembre 2013

GENTE DI PASSAGGIO: 27 Dicembre 1548... (91)

















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... Rimandavano il momento della scelta. Ma quel momento era ormai attuale e urgente, andavano predicando i portavoce più intransigenti dei due schieramenti, quello cattolico (‘papistico’, per i nemici) e quello evangelico (‘luterano’). Se da parte cattolica la ‘guerra spirituale’ poteva ormai valersi di uno strumento rinnovato e rinvigorito come l’Inquisizione romana, da parte evangelica, fu diffuso in italiano un ‘Libretto consolatorio’ che invitava ad affrontare animosamente la persecuzione religiosa e a considerarla come il segno dell’appartenenza a Cristo, coerentemente col principio della ‘teologia della croce’ per cui Dio si rivela nell’afflizione (un esempio valido fu Hus…).
Su questo sfondo di incertezze e discussioni, si consumò nel secondo semestre del 1548 il dramma di Francesco Spiera. Vi si rispecchiano i turbamenti e le lacerazioni di un duro passaggio epocale. Non c’era più una sola chiesa: non c’era più una sola verità per i cristiani. La scelta doveva essere compiuta all’interno delle coscienze: ed era una scelta che non consentiva alternative né compromessi. Nessuna penitenziaria romana poteva più cancellare la colpa, nessuna opera buona poteva addolcire la sentenza di un Dio offeso. Ai cristiani si rivolgeva ora il duro appello paolino che aveva sferzato gli ebrei: dovevano scegliere e avevano poco tempo per farlo. Dopo, non c’era più salvezza. Non c’era posto per astuzie né era consentito collocarsi al di sopra delle parti….



 
Non è da dimenticare in questa o qualsiasi altra sede, che la cultura clericale aveva lungamente battuto sul tasto delle colpe umane per far funzionare (per secoli, si badi bene… al pari di un regime dittatoriale…) meglio i sistemi delle penitenze, dei giubilei, delle indulgenze con le quali, fra l’altro, si finanziavano anche sanguinose guerre.
Chi credeva che il papa fosse l’Anticristo doveva manifestare le sue convinzioni: questa era la vera novità. Durava ancora la memoria della protesta degli ‘spirituali’ contro la Chiesa ufficiale (ne abbiamo parlato con un altro disperato caso: Fra Michele Minorita…): ma la loro scelta contro il papa-Anticristo era stata quella di nascondersi, di aspettare: ‘Fuggian, fuggian, o car fratelli/ o piuttosto ascondiaci’, questo era stato il loro invito. Ora, la sola idea del nascondimento suscitava la più violenta delle condanne: la condanna all’Inferno. E toccò a Francesco Spiera sperimentarlo. Appena ebbe parlato pubblicamente contro la verità che la sua coscienza aveva abbracciato, egli seppe di essere definitivamente morto: la vita fisica che aveva guadagnato era stata pagata col prezzo supremo della perdita dell’anima. La morte fisica fu una conseguenza della morte morale. Una storia straordinaria, drammatica e concentrata nel tempo, subito osservate e da allora in poi lungamente meditata dalla nuova religione europea della coscienza.




Il suo caso assunse un valore emblematico.
Esso fu uno specchio per i drammi e i conflitti che la spaccatura ideologica dell’identità cristiana scatenò in tutta Europa. Fu uno specchio veneziano e italiano, in primo luogo: ma poi, risolta l’incertezza italiana, sopravvisse definitivamente come modello terrificante per l’Europa riformata, mentre in Italia la vittoria cattolica ne spense del tutto il ricordo.
Proprio per questa funzione esemplare assunta immediatamente dalla vicenda, i resoconti contemporanei furono numerosi. Ciò non rende più semplice la ricostruzione dei fatti; chi scrisse sull’esperienza vissuta dallo Spiera lo fece con animo turbato e commosso, verificando su quella vicenda le ragioni delle proprie scelte. Fu un dramma umano dalla tragica conclusione: si svolse tra il 1° luglio 1548 – data dell’abiura solenne – e il 27 dicembre dello stesso anno; quel giorno, pre Zuanne Ancilloto di Cittadella si recò a casa dello Spiera per amministrargli l’estrema unzione, ma lo trovò in fin di vita: ‘non attendeva più… et… a hore tre de giorno, vel circa, morire’.
Quella morte non giunse inattesa: era stata prevista e annunziata. Anzi, in qualche modo la morte fisica fu come preceduta da una decisione di morte profonda e irrevocabile.




Chi aveva pronunziato la sentenza?
Dio stesso, secondo lo Spiera: la sua morte era la vendetta di Dio annunziata contro i negatori della verità. A chi lo ascoltava, Spiera allegava i passi delle Scritture dove era scritta la sua condanna: dal Vangelo di san Paolo, citava: ‘chi una volta illuminato, era poi caduto’; chi, volontariamente, cadeva nel peccato dopo aver ricevuta la ‘notitia veritatis’, non doveva aspettarsi perdono ma vendetta.
In pochi mesi Francesco Spiera vide compiersi la sua condanna. Fu un lento, inesorabile suicidio. Sarebbe stato un suicidio vero e proprio se non lo avessero sorvegliato. Gli chiesero un giorno se, potendolo fare, si sarebbe ucciso. Rispose: ‘Datemi una spada e vedrete’. Non gliela dettero, ma l’ultimo giorno della sua permanenza a Padova, mentre lo stavano preparando per ricondurlo a Cittadella, una spada si trovò a portata della sua mano. L’afferrò d’impeto; ma i figli furono pronti a disarmarlo. Il suicidio era – nell’etica cristiana – la porta della dannazione eterna. Non per niente, la causa del suicidio era individuata nella tentazione del demonio, persuasore di disperazione. Di conseguenza, chi usava violenza contro di sé era dannato senza rimedio. Dunque, tentare di uccidersi era sottoscrivere il decreto di condanna che, secondo lo Spiera, era stato emesso irrevocabilmente contro di lui.




Il suo caso non fu isolato: la cultura dell’antico regime conobbe un sentimento di disperazione davanti alla morte eterna certamente non inferiore per intensità al sentimento, ai nostri tempi più familiare, della disperazione per la minaccia di morte fisica. Ci furono altri suicidi tentati per la convinzione di essere irrimediabilmente dannati; e ci furono anche celebri casi di regicidi in nome dell’ortodossia, spinti all’attentato suicida dalla speranza di cancellare peccati imperdonabili.
Il sentimento della disperazione nasceva allora dalla paura non della morte terrena ma da quella della morte eterna. Su questo sfondo, si colloca il caso di Francesco Spiera con la sua indubbia originalità. Nella sua disperazione, il sentimento interiore della condanna irrevocabile fulminata da Dio stesso (mista alla calunnia del popolo…) si alimentò del conflitto tra due chiese: quella a cui lo Spiera era stato riammesso in seguito all’abiura ( e che da lui era ritenuta falsa) e quella dei veri credenti da cui l’abiura lo aveva estromesso. Era una scomunica interiore, che si sostituiva a quella ufficiale e formale della chiesa: mentre la scomunica ecclesiastica aveva perso ogni terribilità, ridotta com’era a campo di negoziazioni e transizioni anche in danaro, risorgeva una scomunica tanto più spaventosa quanto più radicata nel verdetto della coscienza. 

(A. Prosperi, L'eresia del Libro Grande)


 












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