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Ci sono dunque due teologie specificamente distinte che, se a rigore
non sono continue per le nostre menti, possono almeno accordarsi e completarsi:
la teologia rivelata che parte dal dogma, e la teologia naturale elaborata
dalla ragione.
La teologia naturale non è tutta la filosofia, essa non ne è che una
parte, o meglio ancora che il coronamento; ma è la parte che la filosofia di
san Tommaso ha elaborato più profondamente e nella quale egli si è manifestato
come genio veramente originale.
Quando si tratta di fisica, di fisiologia, o delle meteore, san Tommaso
non è che l’allievo di Aristotele, ma quando si tratta di Dio, della genesi
delle cose e del loro ritorno verso Dio, san Tommaso è se stesso. Egli sa per
fede verso quale fine si dirige, ma tuttavia progredisce soltanto grazie alle
risorse della ragione. In quest’opera filosofica la riconosciuta influenza
della teologia è dunque sicura, ed è ancora la teologia che ne fornirà il
piano.
Non che di ciò vi fosse un’intrinseca necessità, san Tommaso, se
l’avesse voluto, avrebbe potuto scrivere una metafisica, una cosmologia, una
morale concepite secondo un piano strettamente filosofico e che partisse da ciò
che c’è di più evidente per la nostra ragione. Ma è un fatto, nulla più, che le
sue opere sistematiche sono delle summe di teologia e che, di conseguenza, la
filosofia che esse espongono ci è presentata nell’ordine teologico.
Le prime cose che noi conosciamo non sono altro che le cose sensibili,
ma la prima cosa che Dio ci rivela è la sua esistenza; non si incomincerà
dunque teologicamente da dove si arriverebbe filosoficamente dopo una lunga
preparazione. Bisogna supporre lungo la strada che ci siano dei problemi
risolti; ma il fatto è che essi lo sono effettivamente, e la ragione non perderà
nulla per aver aspettato.
Aggiungiamo che, anche dal punto di vista strettamente filosofico,
questa soluzione presenta dei vantaggi. Supponendo risolto il problema totale,
facendo come se ciò che è più sconosciuto per sé lo fosse anche alle nostre menti
finite, noi diamo della filosofia un’esposizione sintetica il cui profondo
accordo con la realtà non potrebbe essere messo in dubbio. Allo stesso modo è l’universo quale è, con Dio come principio e come
fine, che la teologia naturale così intesa ci invita a contemplare. Allora,
grazie a questo rovesciamento del problema noi abbozzeremo il sistema del mondo
che avremmo rigorosamente il diritto di stabilire se i principi della nostra
conoscenza fossero al tempo stesso i principi delle cose. Secondo l’ordine che abbiamo deciso di seguire, ci conviene partire da
Dio. La dimostrazione della sua esistenza è necessaria e possibile.
Essa è necessaria perché l’esistenza di Dio non è una cosa evidente; in una simile materia l’evidenza non sarebbe possibile che se noi avessimo una nozione adeguata dell’essenza divina; la sua esistenza apparirebbe allora come necessariamente inclusa nella sua essenza. Ma Dio è un essere infinito, e, dato che non ne ha il concetto, la nostra mente finita non può vedere la necessità di esistere che la sua stessa infinità implica; si deve quindi dedurre attraverso il ragionamento questa esistenza che non possiamo constatare.
Così ci viene chiusa la via diretta che l’argomento ontologico di sant’Anselmo ci apriva; ma ci resta aperta quella che indica Aristotele. Cerchiamo quindi nelle cose sensibili, la cui natura è conforme alla nostra, un punto d’appoggio per elevarsi a Dio. Tutte le prove tomiste mettono in gioco due elementi distinti: la costatazione di una realtà sensibile che richiede una spiegazione, l’affermazione di una serie causale di cui questa realtà è la base e Dio il vertice.
La via più evidente è quella che parte dal movimento. Nell’Universo c’è del movimento; questo è il fatto da spiegare, e la superiorità di questa prova non dipende dal fatto che essa sia più rigorosa delle altre, ma dal fatto che il suo punto di partenza è il più facile da capire.
Ogni movimento ha una causa e questa causa deve essere esterna all’essere stesso che è in movimento; infatti non si potrebbe essere, contemporaneamente e sotto lo stesso rapporto, il principio motore e la cosa mossa. Ma il motore stesso deve essere mosso da un altro, e quest’altro da un altro ancora. Bisognerà quindi ammettere che o la serie delle cause è infinita e non ha un primo termine, ma allora nulla spiegherebbe l’esistenza di un movimento, o la serie è finita e c’è un primo termine, e questo primo termine non è altro che Dio.
Il sensibile non ci pone soltanto il problema del movimento. Infatti non solo le cose si muovono, ma prima di muoversi esse esistono, e nella misura in cui esse sono reali hanno un certo grado di perfezione. Ora, ciò che abbiamo detto delle cause del movimento, possiamo dirlo delle cause in generale. Niente può essere causa efficiente di se stesso, perché per prodursi dovrebbe essere, come causa, anteriore a se stesso come effetto. Ogni causa efficiente ne suppone dunque un’altra, la quale ne suppone a sua volta un’altra. Ora, queste cause non hanno tra loro un rapporto accidentale; anzi si condizionano secondo un certo ordine, ed è proprio per questo che ogni causa efficiente rende veramente conto della seguente. Se è così, la causa prima spiega quella che è nel mezzo della serie, e quella che è nel mezzo spiega l’ultima. Occorre dunque una causa prima della serie perché ce ne sia una di mezzo ed una ultima, e questa causa efficiente è Dio…
(Gilson, La filosofia nel Medioevo)
Essa è necessaria perché l’esistenza di Dio non è una cosa evidente; in una simile materia l’evidenza non sarebbe possibile che se noi avessimo una nozione adeguata dell’essenza divina; la sua esistenza apparirebbe allora come necessariamente inclusa nella sua essenza. Ma Dio è un essere infinito, e, dato che non ne ha il concetto, la nostra mente finita non può vedere la necessità di esistere che la sua stessa infinità implica; si deve quindi dedurre attraverso il ragionamento questa esistenza che non possiamo constatare.
Così ci viene chiusa la via diretta che l’argomento ontologico di sant’Anselmo ci apriva; ma ci resta aperta quella che indica Aristotele. Cerchiamo quindi nelle cose sensibili, la cui natura è conforme alla nostra, un punto d’appoggio per elevarsi a Dio. Tutte le prove tomiste mettono in gioco due elementi distinti: la costatazione di una realtà sensibile che richiede una spiegazione, l’affermazione di una serie causale di cui questa realtà è la base e Dio il vertice.
La via più evidente è quella che parte dal movimento. Nell’Universo c’è del movimento; questo è il fatto da spiegare, e la superiorità di questa prova non dipende dal fatto che essa sia più rigorosa delle altre, ma dal fatto che il suo punto di partenza è il più facile da capire.
Ogni movimento ha una causa e questa causa deve essere esterna all’essere stesso che è in movimento; infatti non si potrebbe essere, contemporaneamente e sotto lo stesso rapporto, il principio motore e la cosa mossa. Ma il motore stesso deve essere mosso da un altro, e quest’altro da un altro ancora. Bisognerà quindi ammettere che o la serie delle cause è infinita e non ha un primo termine, ma allora nulla spiegherebbe l’esistenza di un movimento, o la serie è finita e c’è un primo termine, e questo primo termine non è altro che Dio.
Il sensibile non ci pone soltanto il problema del movimento. Infatti non solo le cose si muovono, ma prima di muoversi esse esistono, e nella misura in cui esse sono reali hanno un certo grado di perfezione. Ora, ciò che abbiamo detto delle cause del movimento, possiamo dirlo delle cause in generale. Niente può essere causa efficiente di se stesso, perché per prodursi dovrebbe essere, come causa, anteriore a se stesso come effetto. Ogni causa efficiente ne suppone dunque un’altra, la quale ne suppone a sua volta un’altra. Ora, queste cause non hanno tra loro un rapporto accidentale; anzi si condizionano secondo un certo ordine, ed è proprio per questo che ogni causa efficiente rende veramente conto della seguente. Se è così, la causa prima spiega quella che è nel mezzo della serie, e quella che è nel mezzo spiega l’ultima. Occorre dunque una causa prima della serie perché ce ne sia una di mezzo ed una ultima, e questa causa efficiente è Dio…
(Gilson, La filosofia nel Medioevo)
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