Precedenti capitoli:
Consenso sociale (6)
Prosegue in:
Settembre (8/9)
La similarità dei due partner colossali che, se non attraggono a
sé i territori degli Stati storici, pure ne assumono la sovranità, suscita l’impressione
che abbiamo qui a che fare con dei modelli, anzi, con degli stampi: con le due
metà di un’unica forma da impiegarsi per fondere e costruire lo Stato
mondiale. Con ciò non si intende una semplice operazione di addizione, un raddoppio,
ma una trasformazione qualitativa, l’ascesa a una potenza che oggi non è ancora
possibile rappresentarsi. Tale prospettiva è già più gradita di altre, per il
fatto che essa sola promette una limitazione e un addomesticamento degli
strumenti di potere cresciuti oltre la possibilità di controllo degli Stati e
degli imperi storici. Soltanto da un centro, da un umbilicus mundi, si può
decidere se essi vadano conservati oppure eliminati; l’addomesticamento di
ciò che è indomito ha come presupposto lo Stato mondiale.
…In un mondo che si muove sempre più velocemente, i simboli più
credibili di dominio sono le punte lanciate nel moto più veloce e potente: sono
i veicoli spaziali (e i futuri derivati)
e quella punta estrema raggiunta dal mondo che va costituendosi, in cui le conquiste
della ricerca si combinano con quelle della tecnica rendendo così possibile lo
sviluppo delle ricerche astronautiche (e non solo). Si creano, in quelle sedi,
modelli di pianeti. Affinché quelle creazioni possano essere realizzate dovrà certamente
aggiungersi molto altro alle prestazioni della tecnica: un tempo era la
profondità dei sogni in quanto essenza delle antiche utopie, in seguito la
potenza della terra in quanto tale, che è divenuta fertile e irradia attraverso
l’ingegno dell’uomo. In una parola: le premesse per l’ora di una nascita.
L’eccitazione che invade i popoli di fronte a questi modelli e alle
strade che con essi si dischiudono ha buone ragioni di essere; anche in essa è
più forte l’effetto prodotto dagli elementi invisibili che da quelli visibili. Lo
statuto di un simbolo non si fonda sulla potenza pratica, la quale, piuttosto,
trova in esso la sua espressione. Non si tratta di un trionfo sullo spazio e
sul tempo, e nemmeno delle dimensioni straordinarie degli sforzi e dei
costi necessari a realizzare la missione; ancor meno si tratta di mettere a punto
l’equipaggiamento indispensabile per compiere il lancio nello spazio, superando
la forza di gravità. In ultima analisi tutto questo rimane inesplicabile, come
la formazione di un organo nuovo.
L’estremo pericolo che tutto questo comporta si comprende solo marginalmente;
ma il pericolo non si può eliminare. Si pone per l’uomo una domanda
destinale: se egli voglia questo nuovo mondo i cui contorni gli si profilano
davanti agli occhi.
Egli vi ha già acconsentito, ed è appunto con un sì che doveva rispondere.
Per quanto riguarda i modelli, se ne osserva lo sviluppo nel modo migliore
se li si guarda come fossero minuscole particelle, dotate di una carica
potente, che si sollevano al di sopra di un vasto campo. Ed è bene, anche in
questo caso, non attribuire ai fenomeni tecnici una parte più importante di
quella che essi hanno in altri simili processi.
Essi non forniscono che gli strumenti per una volontà che vive al di
là della tecnica.
Il gioco dei nervi, dei muscoli, dei tendini che fa muovere la nostra
mano è assai più complicato, ma perché la mano suoni un violino o dipinga un
quadro, non occorre un manuale di anatomia. Si potrebbe qui replicare che
la mano non è stata inventata dall’uomo. Ma all’obiezione si può rispondere
chiedendo quale contributo originale abbia dato l’uomo alla nostra tecnica, sia
esso inteso in primo luogo come un contemporaneo di quest’epoca e, in secondo
luogo, come l’esemplare, dotato di abilità tecnica, di una specie intesa in
senso biologico. Difficilmente gli occhi riescono a cogliere gli effetti che si
producono entro una dimensione più sfuggente, in quella pellicola sottilissima
che vede una generazione o anche un secolo come un semplice momento della sua
stratificazione, le forze storiche, ma anche ‘sovraultrastoriche’ che qui si
aggirano, spingono, attraggono: è più facile osservare gli effetti tecnici, con
la realizzazione dei quali, pure, quegli altri sono immediatamente in relazione.
…Solo qui si manifestano i modelli che creano e attribuiscono il senso,
che ci fanno sperare di non essere capitati in un cunicolo senza uscita, di
quelli che da sempre esistono negli strati della terra…
Il nostro pensiero, estremamente raffinato, addestrato secondo il
modello del legame di causa ed effetto, ci ha resi quasi daltonici davanti a
questi fenomeni.
Per dimostrare che qualcosa si sta preparando ricorriamo soprattutto alla
causalità storica, alla spinta che connette i fatti tra loro. Ma esiste anche
un forte legame di attrazione tra i fatti, che esercita il suo effetto muovendo
dall’altro polo; accanto all’azione causale ve ne è dunque una finale: entrambe
vengono a incontrarsi nell’istante, conferendogli la sua forma. Come ogni porta
può essere contemporaneamente un’entrata e un’uscita, così, a seconda della prospettiva
di chi giudica, il presente può essere inteso tanto come una conseguenza,
quanto come il segno premonitore di qualcosa che sta per sopraggiungere. È
inevitabile che ciò che sopraggiunge porti con sé uno stato di inquietudine,
che sia accompagnato dal presagio di qualcosa che è privo di senso, e persino
della morte, dal momento che fa la sua comparsa entro uno spazio già ripartito,
a danno dei diritti e degli interessi esistenti.
D’altra parte, è appunto la messa in questione di quei diritti e di
quegli interessi che annuncia ciò che sta per sopraggiungere.
Vi sono tempi in cui nessuno si sente tranquillo; tempi che ricordano i
movimenti inquieti del bruco che cerca un luogo dove incrisalidarsi. Ciò che esso
cercava in realtà, ciò che lo trascinava nel suo moto inquieto non era
precisamente un luogo: era la farfalla. Ogni involuzione è contemporaneamente
un’evoluzione. Il filo in cui il bruco si avvolge è lo stesso che libererà la
farfalla.
In modo simile lo Stato mondiale non è semplicemente un imperativo
della ragione, da realizzare attraverso l’azione conseguente di un volere. Se
fosse così, se non si trattasse che di un postulato logico o etico, le cose in futuro
andrebbero male per noi. Esso è anche un qualcosa che sopraggiunge. Nell’ombra
che esso proietta davanti a sé, sbiadiscono le vecchie immagini, si svuotano di senso le interpretazioni
familiari, soprattutto quelle dello Stato storico e delle sue esigenze.
Le guerre che questo conduceva sono pertanto divenute sospette, incerti i suoi confini.
Ciò che sopraggiunge spezza le norme che lo governavano; lascia intravedere
altre immagini e altri concetti, e anche un nuovo diritto.
La similarità delle due potenze mondiali, come è meglio chiamarle
per distinguerle dalle grandi potenze storiche, non è solo un segno del comune
stile del tempo e di ciò che di esso appare in superficie, ma di una
sostanziale evoluzione. Il fatto che due partner così diversi nel tipo e nella
provenienza possano essere considerati contemporaneamente dimostra che essi
vengono compresi alla radice. All’osservatore che abbia riconosciuto non solo
la similarità, ma addirittura l’identità della stella rossa e di quella bianca
appare evidente che tale situazione di fatto richiede di trovare espressione nell’organizzazione
della terra, magari per mezzo di un contratto.
Intanto le iniziative che sono state prese praticamente in questa direzione
sono deboli e impotenti, come la Società delle Nazioni del primo dopoguerra.
Ciò che si impone in modo decisivo è il dualismo; questo ci porta a pensare a un’epoca
in cui la tensione costituisce un momento di costruzione. Ciò che accomuna i movimenti
politici a quelli erotici è il fatto che né gli uni né gli altri sono governati
dalla ragione. Essi affondano in uno strato più profondo; in essi si manifesta
una volontà più forte. Sarà bene dunque, anche in questo caso, non aspettarsi
troppo da conferenze, progetti, contratti, e confidare piuttosto in impulsi di portata
più ampia. È in corso evidentemente un movimento del mondo alla ricerca di un
punto di equilibrio. Esso ha infranto l’ordinamento dello Stato barocco in favore
degli Stati nazionali e degli Imperi che su essi furono fondati e, successivamente,
ha eliminato gli Stati nazionali, lasciando libero il campo per le potenze
mondiali.
Ma anche questo stato di cose non sopporta alcuna forma di pluralità: di
qui l’origine dell’attuale inquietudine. Dall’attuale divisione degli Stati
mondiali esso spinge verso lo Stato mondiale, verso un ordinamento planetario o
globale.
Tale crescita è connessa a una fame di sempre maggiori quantità di energie.
Una creatura ancora in embrione, crescendo, attrae verso di sé il flusso del
sangue e delle forze della terra; il singolo può avvertire l’attrazione di
questo risucchio, per quanto viva ancora così nascosto, come lo avvertono gli
Stati mondiali. Essi sono già attraversati da strade e da costruzioni che passano
al di sopra del loro isolamento e lo superano. Chi abbia riconosciuto tutto questo,
guadagna in mezzo al movimento una posizione da cui è possibile giudicare quali
mezzi, forme e costituzioni politiche siano conformi alla spinta di questo moto
e vi contribuiscano, e quali no…
Il grande movimento che va aumentando la sua accelerazione non
coinvolge il destino di questo o quel popolo, ma di tutti i popoli e dell’uomo
in quanto tale. Anche questo sarà compreso; fa parte di quei fatti di cui si fa
carico la coscienza generale.
Tale tema conduce molto più in là.
A proposito dello Stato trovano posto qui alcune riflessioni.
È noto che i contemporanei sono inclini a sopravvalutare l’attuale
processo, specie se connesso con le catastrofi. Il tempo sembra allora
acquistare maggior velocità, come nelle cataratte, in cui l’acqua cade più rapidamente.
Ma le catastrofi, per quel tanto che possiamo volgerci a considerarne gli
effetti nel passato - e oggi possiamo di molto arretrare con lo sguardo nel
passato - hanno cambiato di poco l’aspetto dell’uomo e ne hanno appena minacciato
l’esistenza. Si può anzi supporre che, come le glaciazioni o quelle calamità
che produssero migrazioni di popoli, ne abbiano rafforzato l’habitus e vi
abbiano impresso un’impronta più netta. L’uomo, in quanto specie, procede intatto
oltre il tramonto delle generazioni, attraverso popoli e civiltà.
L’angoscia del nostro tempo non ha però a che vedere con il tramonto degli
individui e dei popoli, ma con l’estinzione della specie. Le forme di questo
tramonto sono strettamente connesse con l’intelligenza umana e con le sue
decisioni. Con ciò non si pensa tanto alla questione della salvezza, come era
il caso delle visioni apocalittiche di un tempo, ma a un atto mancato
dell’intelletto. Questo tipo di considerazione nasconde l’autentica profondità dell’abisso,
dal momento che restringe la valutazione della situazione alla cornice riempita
da movimenti intelligenti e volontari. Le sfugge il fatto che questa stessa cornice
è coinvolta nel movimento. Ne consegue che la dimensione del pericolo viene
sottovalutata, come anche le riserve che sono a disposizione.
Il movimento non ha dunque luogo soltanto all’interno della cornice, ma
anche al di sotto di essa.
È questa la ragione di fondo per cui quei concetti che vengono a costituite
il quadro di riferimento, come guerra e pace, tradizione e confine, hanno
incominciato a spostarsi in modo tale che la conoscenza storica non dispone più
degli strumenti per darne conto.
Si spiega così il carattere sperimentale della politica attuale.
Non si è trasformata soltanto la situazione politica; tali
trasformazioni sono infatti normali e costituiscono da sempre il materiale che
i politici devono padroneggiare o hanno padroneggiato. Coinvolta nella precipitosa
trasformazione è piuttosto l’organizzazione storico politica di fondo, e ciò spiega
di nuovo le ragioni dell’incapacità di farsi padroni della situazione, spiega quei
vistosi fenomeni che si attribuiscono a un atto mancato dell’intelletto, e
quelle fenditure che, in tal modo, vediamo spalancarsi tra ciò che è ‘buono’ e
ciò che è ‘secondo giustizia’, tra ciò che è stato deciso e ciò che è secondo ragione.
Tali fratture provengono da una tettonica più profonda di quella del
terreno politico, perciò vengono meno le soluzioni che a questo livello è
possibile trovare.
L’intelletto umano è affidato all’esperienza; dove questa lo abbandona
comincia l’esperimento.
Ciò può produrre disorientamento, soprattutto nel tempo in cui domina l’intelletto
che ha liberato tanto lo Stato quanto la società dai riti ricevuti in eredità e
ne ha determinato la forma attraverso la conoscenza. Si crea così un beffardo ‘doppio
gioco’ tra una libertà dello spirito divenuta quasi assoluta e la sua impotenza
di fronte alla forza cogente del nuovo mondo che si impone. Proprio l’estrema
evoluzione dello spirito umano lascia sperare che l’uomo sia in grado di
spingere la propria capacità di comprendere al di là di se stesso, per cogliere
gli eventi con uno sguardo che unisca l’acutezza della conoscenza critica con
la divinazione.
Solo in questo modo sarebbe possibile comprendere quella componente del
grande movimento della terra che si sottrae al libero volere; ed è appunto solo
in questo modo che si può determinare che cosa la libertà del volere, interna a
questo movimento e da questo stesso promossa, sia in grado di compiere e quali
difficoltà debba aspettarsi di incontrare. Diverrebbe soprattutto possibile tracciare
un confine tra ciò che, nell’insieme degli eventi che si propongono
prepotentemente sulla scena, si può caratterizzare come un’opera dell’uomo e ciò
che invece sfugge al suo controllo: sia che si consideri l’opera dell’uomo come
un momento della sua emancipazione, sia che, al contrario, si guardi alla crescita
colossale dell’intelligenza umana e dei suoi progetti come a un fenomeno
provocato da impulsi di altro tipo, che si suppone trovino il loro spazio al di
sotto della politica, della storia e degli ordinamenti umani tout court.
(E. Junger, Lo stato mondiale)
(per diritto citazione art.70 Legge 22/04/1941
n. 633)
Nessun commento:
Posta un commento