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In altre parole, costoro non tengono in nessun conto i progressi
compiuti dall’ ‘Umanesimo rinascimentale dell’evoluzione umana’, anzi guardano
con nostalgia all’organizzazione sociale dell’uomo primitivo e delle specie
animali elevate e organizzate in un complesso apparato ‘meccanicistico’ dove i
tanti animali ne compongono uno apparentemente evoluto e organizzato del misero
suo stile di vita; e quindi, il ‘progresso’ deriva dalla preservazione
dell’individuo più forte (o socialmente più violento…) e dalla sottomissione e
morte di quello debole.
La possibilità che esistano forme di eccellenza in campi diversi è del
tutto ignorata: infatti, quando parlano di favorire il ‘più forte ed
efficiente’, costoro intendono unicamente colui che è economicamente forte ed
efficiente. L’artista, lo scrittore, il ricercatore, il poeta (e tutti i loro
consimili…) che non sono abili a far soldi (e a cui i soldi non sono destinati
né assegnati d’ufficio… nel ruolo sociale di cui la ‘macchina’ abbisogna…)
vengono classificati tra gli incapaci, tra gli stupidi, e costretti a soffrire
ed estinguersi.
Bene – mi sembra di aver già chiaramente espresso il mio totale rifiuto
per questo modo ‘primitivo’ ‘arrogante’ nonché ‘illegale’ … modo di pensare.
Ammiro le tradizioni – sono infatti innanzitutto un amante delle cose
antiche – ma non capisco perché proprio gli aspetti più rozzi e crudeli della
società dei pionieri debbano essere isolati e idolatrati come essenziali per lo
‘spirito di una nazione’. Inoltre, non amo la furbizia – ma non capisco perché
una selvaggia, febbrile lotta per il soddisfacimento dei bisogni materiale, complicata artificialmente, dal momento che la meccanizzazione ha semplificato
il lavoro, debba essere considerata un ideale superiore a quello che esalta
l’attività intellettuale unita a un programma, stilato con oculatezza, di sviluppo
culturale. La mia riluttanza a soffrire la fame e a eliminare il più debole non
significa che io sia un sostenitore della debolezza in sé. Sono a favore di un
programma che migliori le condizioni dei gruppi più arretrati per mezzo
dell’istruzione, e disdegno in assoluto quei metodo detti scientifici,
introdotti consapevolmente, ai metodi irrazionali, violenti e accidentali di un
mondo primitivo, in cui il vero ed unico progresso deriva soltanto da causali
‘effetti collaterali indotti’ da forze cieche e senza scopo, convinti del dono
‘superiore’ della vista intellettuale e divina, opposta ad una 'invisibile' forza terrena materiale o immateriale
di un’anima ‘Superiore’….
La questione della ‘libertà’, sollevata astutamente ma slealmente dai
reazionari, ovviamente è soltanto uno specchio per le allodole. Nessuno vuol
limitare la libertà del cittadino americano, se non nelle attività economiche
d’interesse nazionale – e chiunque scambi questo isolato aspetto economico per
il sinonimo dell’intera esistenza del cittadino, si dimostra molto rozzo sul
piano concettuale. Non solo: questa stessa libertà economica non è prerogativa
del vecchio sistema più di quanto non lo sarebbe di quello nuovo. Infatti, nel
sistema attuale, i grandi gruppi industriali schiacciano quelli piccoli. La
riforma mirerebbe semplicemente a trasferire le restrizioni da un gruppo
all’altro: le limitazioni imposte ai grandi interessi economici comporteranno
per il tessuto sociale disagi minori a quelli provocati dalle presenti e passate
restrizioni imposte ai gruppi più piccoli.
… Ad ogni modo il difetto principale del capitalismo è forse qualcosa
di più profondo del rifiuto della solidarietà: qualcosa che ha a che fare con
la sottile, radicata ostilità del capitalismo e dell’intero spirito
mercantilista, contro tutto ciò che lo Spirito umano ha di più raffinato e
creativo. Come ho ricordato in precedenza, l’affarismo e il culto del denaro
sono i principali nemici della persona umana, perché celebrano e premiamo
l’individuo avido e scaltro a scapito di quello intrinsecamente superiore e più
creativo.
I sostenitori del capitalismo si struggono per il principio della
‘libera concorrenza’ economica che ‘premia i più meritevoli e punisce gli
incapaci’.
Molto bene!
Verifichiamo come i migliori vengono premiati….
Facciamo un elenco delle menti e delle personalità unanimemente
riconosciute come le più illustri della moderna società capitalistica, e
vediamo se è proprio vero che il capitalismo le abbia premiate secondo i loro
meriti. Albert Einstein, Romani Rolland, Bertrand Russell, H. G. Wells, Gorge
Santayana, Thomas Mann, John Dewey, W.B. Yeats, George Bernard Shaw, M. e M.me
Curie-joliot, Heisenberg, Planck, Eddington, Jeans… e molti altri ancora: sono
forse costoro, oggi, le persone più ricche del mondo?
E in passato il sistema capitalista ha forse premiato personalità
indiscutibilmente superiori come quelle di Poe, Spinosa, Baudelaire,
Shakespeare, Keats e così via? O forse sarà che i veri beneficiari del
capitalismo non sono gli individui veramente migliori, ma semplicemente coloro
che decidono di dedicare ogni loro sforzo al solo arricchimento personale,
anziché al servizio della collettività in campo intellettuale o estetico…
questi, e quei fortunati parassiti che dividono con loro o ereditano i frutti
del loro talento e genio, indirizzato verso obiettivi così ristretti?
‘Il capitalismo favorisce il progresso tecnologico &cc. &cc.
&cc.’: molto bene, Mr Hoover, ma risponda solo a tre domande di un
onest’uomo: (a) nel lungo periodo, il progresso tecnologico è poi così
importante? (b) chi realizza il progresso tecnologico: i capitalisti, o
piuttosto i loro tecnici, ingegneri, scienziati e ricercatori, tutti
sottopagati? (c) come mai negli ultimi anni il progresso tecnologico avvenuto
nella non-capitalista Russia sovietica ha sopravanzato quello della maggior
parte dei paesi capitalisti? Qual è la risposta a queste domande? ‘Oh, taci,
dannato bolscevico, e non fare il contestatore sovversivo!’.
Molto bene – lasceremo che sia la storia a risolvere la questione, a
modo proprio. Ma che esista qualcosa di realmente giusto o benefico nel
capitalismo… Puah! Tutte fandonie!
Di recente ho discusso di un aspetto di questo problema – le
conseguenze della mercificazione dell’arte – con il giovane Virgil Finlay, il
nuovo, brillante illustratore di WT, che riteneva che il Nonno fosse troppo
severo nei confronti di quegli editori incapaci che hanno spogliato gli
scrittori di nuova generazione di gran parte del loro talento. Finlay sosteneva
che ostacolare la buona scrittura finirebbe per stimolarla, perché la porrebbe
di fronte a una sfida…. Oh Gesù! Come se ci fosse davvero qualcosa di positivo
nella spietata umiliazione del vero talento e nel sistematico incoraggiamento
di un’incompetenza insulsa e ciarlatanesca! Come ho detto a Finlay, la sfida
della mercificazione non va fraintesa col salutare stimolo che di norma le
difficoltà pongono al progresso: chi mercifica l’arte impone deviazioni,
esteticamente dannose, del cammino che conduce al progresso artistico.
Gli elementi stilistici che gli editori ‘commerciali’ apprezzano e
promuovono sono precisamente quelli che la vera letteratura dovrebbe evitare.
Chiunque acconsenta a realizzare i prodotti scadenti richiesti dal mercato, sta
deliberatamente frenando e danneggiando, in modo forse permanente, il proprio
talento, nello sforzo di ottenere quei risultati modesti che sono estranei e
opposti alla vera letteratura.
Le prove offerte in tal senso di figure pur brillanti come Long, Quinn,
Price, Merritt e Wandrei parlano da sole. Di questi tempi nessun racconto, per
quanto valido, verebbe accettato dall’editore di una rivista pulp, se non
portasse la firma di un autore famoso. Non ho dubbi che se The Willows fosse
opera di uno scrittore sconosciuto, non troverebbe un solo editore di riviste
del terrore disposto a pubblicarlo, in Inghilterra come in America.
Quando una storia appena decente ottiene la pubblicazione su una
rivista pulp, di solito è per via di qualche elemento secondario, che ha poco a
che fare con i suoi reali meriti. I racconti migliori dello stesso autore
verrebbero immediatamente respinti – come il caso di Klarkash-Ton chiaramente
dimostra.
L’unico effetto della mercificazione del prodotto artistico è quello di
far interrompere allo scrittore i suoi sforzi in direzione della buona
letteratura, e di non fargli produrre spazzatura su commissione, uniformandosi
così a formule rozze e non-artistiche.
Ecco perché non possiamo parlare di una vera e propria sfida. Le vere
sfide sono quelle poste dai problemi dell’espressione artistica, dal tentativo
di realizzare un determinato effetto estetico usando gli strumenti di un’arte
autentica. Manifestazioni concrete di queste vere sfide sono competizioni come
quelle indette dal Nobel e dal Pulitzer, oppure gli standard stabiliti da
riviste ‘di qualità’ e dalle più raffinate case editrici…. Standard basati sul
valore artistico, non sui dati di vendita.
Questi tipi di sfide sono, naturalmente, quanto di più lontano esista
dalla mercificazione imperante. Quest’ultima, invece, è un male assoluto, che
ha rovinato, più di qualunque altra cosa, la carriera di potenziali autori.
Inutile a dirsi, esistono alcuni scrittori particolarmente coraggiosi capaci di
sottrarsi alle mercificazioni almeno in parte, e di farsi pubblicare alcune
ottime storie, a dispetto delle pretese del dio Mammone.
Tuttavia, anche in questi casi si deve assistere a un tremendo spreco
di energie e di talento – che potrebbero essere più utilmente impiegati nella
creazione artistica – e la produzione dell’autore è comunque molto meno buona
di quanto avrebbe potuto essere, in assenza di pressioni di natura
commerciale….
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