giuliano

venerdì 5 ottobre 2018

LA LETTERA (29)



















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Mio caro signor Sinclair:

Ora ho letto, se non tutti, ancora una buona parte del tuo libro e se puoi venire qui durante la prima settimana di aprile sarò particolarmente lieto di vederti. Non penso molto al tuo corrispondente ecclesiastico. Il duro lavoro di un quarto di secolo su ciò che potrei chiamare problemi politico-sociologici mi ha fatto diffidare degli uomini dal temperamento isterico. Penso che il predicatore fornisca le sue misure quando ti paragona a Tolstoj, Zola e Gorki, intendendo così lodarti. L’abortività della tarda rivoluzione in Russia è nata proprio dal fatto che troppa leadership era del tipo Gorki e quindi il tipo di leadership che non può mai portare nessuno in nessun luogo, salvo in una palude. Ovviamente il risultato netto degli scritti di Zola è stato malvagio. Laddove un uomo ha ricavato da loro un orrore rabbrividente per il torto esistente che lo ha spinto a cercare di correggere quel torto, cento hanno semplicemente avuto il lascivo, il lato bestiale della loro natura rafforzato e intensificato da loro. Oliver Wendell Holmes ha scritto un eccellente paragrafo su questo in Over the Teacups. Quanto a Tolstoj, i suoi romanzi sono buoni, ma i suoi cosiddetti scritti religiosi e riformatori costituiscono una delle forze d’età che dicono seriamente per male. La sua Sonata di Kreutzer non poteva che essere stata scritta da un uomo di natura morale malata, un uomo nella cui persona il devoto e il dissoluto ottengono alternativamente il potere, come talvolta fanno nelle generazioni successive di famiglie decadenti o in intere comunità di malsane condizioni sociali. Alla fine del tuo libro, tra i vari personaggi che predicano il socialismo, quasi tutti tradiscono la credenza patetica che la capacità individuale che non è in grado di elevarsi nemmeno nel lavoro relativamente semplice di dirigere l’individuo su come guadagnare il proprio sostentamento, sarà, quando diventa l’incapacità associata di tutte le persone, riesce a fare mirabilmente una forma di lavoro di governo infinitamente più complessa, infinitamente più difficile di qualsiasi altra che la gente più intelligente e altamente sviluppata abbia mai provato con successo. Personalmente penso che uno dei principali primi effetti di un tale tentativo di mettere il socialismo del tipo predicato in pratica, sarebbe l’eliminazione della fame e delle malattie, morali e fisiche, che si affliggono per fame, di quella stessa porzione della comunità a nome di chi sarebbe stato invocato il socialismo. Naturalmente avete letto il resoconto di Wyckoff delle sue esperienze come manovale della classe più bassa. Probabilmente lo conosci. Era un uomo di Princeton totalmente privo di fisico per fare il lavoro manuale, così come il normale operaio manuale può farlo, ma attraversando il continente la sua esperienza è stata quella in ogni luogo, prima o poi, e nella maggior parte dei luoghi molto presto, un uomo non molto forte fisicamente e che lavorava in settori che non avevano bisogno di intelligenza, poteva elevarsi a una posizione in cui aveva un lavoro costante e dove poteva salvare e condurre una vita che si rispetti. Ci sono senza dubbio comunità in cui tale auto-raccolta [….] è molto difficile per il momento; ci sono indiscutibilmente uomini che sono menomati per sbaglio (come essere vecchi e avere famiglie numerose dipendenti da loro); ci sono molti, molti uomini che non hanno alcuna intelligenza o carattere e che quindi non possono quindi alzarsi. Ma mentre sono d’accordo con te che è energico e, come credo, nel lungo periodo radicale, bisogna agire per eliminare gli effetti dell’avidità arrogante ed egoista da parte del capitalista, eppure sono più che mai convinto che il vero fattore nell’elevazione di ogni uomo o di qualsiasi massa di uomini deve essere lo sviluppo nel suo o nei loro cuori e teste delle qualità che da sole possono rendere l’individuo, la classe o la nazione permanentemente utili a se stessi e agli altri. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con il fatto che i mali specifici che lei indica, se la loro esistenza sia provata, e se io avessi il potere, venissero sradicati.



  
La polemica scaturitane spinse il Congresso ad alcuni emendamenti legislativi, che regolarono le ispezioni degli enti preposti a vigilare sulla qualità e l’igiene degli alimenti ma lasciò in sostanza mano libera agli imprenditori dello strategico comparto produttivo per quanto atteneva alle condizioni d’impiego della manodopera. La puritana caparbietà di Upton non lo fece desistere di fronte alle intimidazioni delle quali il sistema da lui denunciato non ebbe remore ad avvalersi.

Quando, alla vigilia della carneficina imperialista in forza della quale il Vecchio Continente si dannò l’anima per applicare alla pratica dello sterminio l’organizzazione tecnica del lavoro sperimentata nel Nuovo, uno dei maggiori critici letterari europei, Georg Brandes, si recò a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, questi dichiarò ai cronisti che vi erano tre scrittori americani dei quali valutasse ragguardevoli le opere: Frank Norris, Jack London e Upton Sinclair. L’indomani, sulle testate che rilanciarono tale giudizio, la trinità consacrata dall’autorevolezza dell’autore dei quattro ponderosi volumi di Main currents in the Literature of the Nineteenth Century  venne però unanimemente mutilata di una persona, la quale, neanche a farlo apposta, coincideva con quella dell’autore di The Metropolis e The Money Changers.

Egli non si lasciò scoraggiare per questo, tant’è che ne colse l’occasione per convincere il Brandes a scrivere la prefazione del suo nuovo lavoro, King Coal, un’inchiesta sulle lotte sindacali dei minatori del Colorado, che uscì durante le fasi cruente del conflitto. 

The Brass Check, seguito a due anni di distanza, fu un assalto diretto contro l’industria editoriale, il cui campionario di meschinità, quale vi era illustrato con equanime acribia, può essere assunto a base da cui desumere la potenza mistificatoria dell’odierna, e venne dato alle stampe assieme ad una nota introduttiva di Romain Rolland, un altro scrittore che dedicò la carriera a promuovere pacifismo e giustizia sociale, prendendosene tutti i necessari rischi politici, cosa che verosimilmente contribuisce ad eclissare la memoria di entrambi nella congiuntura di pavidità e sconsolatezza che contraddistingue l’odierno panorama intellettuale, dietro le cui alture, ormai impudicamente artificiali o tutt’al più vagamente reminiscenti della natura che occultano con mezzi mimetici, non emergono, fino a prova contraria, segni di solidarietà attorno ai quali accumulare un sentimento ed un ingegno internazionalisti.

Non gettò la spugna Sinclair, neppure allorché, si era nel pieno della Depressione degli anni Trenta, decise di accettare la candidatura offertagli dal Partito Democratico per competere alla carica di Governatore della California. Così, in una lettera a Norman Thomas, che in rappresentanza del Socialist Party of America aspirò alla presidenza dell’Unione in ben sei consultazioni consecutive, dal ’28 al ’48, Sinclair giustificò retrospettivamente la scelta che gli era valsa la scomunica da parte della Terza Internazionale:

‘Il popolo americano accetterà il Socialismo, ma non ne accetterà l’etichetta. Io ho sicuramente provato ciò nel caso dell’EPIC. Concorrendo come socialista presi 60.000 voti, e concorrendo con lo slogan ‘End Poverty in California’ ne presi 879.000. Penso che dobbiamo semplicemente riconoscere il fatto che i nostri nemici hanno avuto successo nel diffondere la Grande Bugia. Non serve a niente un attacco frontale, è molto meglio aggirarli’.

Perseverò, dunque, ad essere una spina nel fianco del capitalismo che si venne intanto globalizzando, senza recedere finché non si spense all’età di novant’anni in una casa di riposo del New Jersey. Ai nostri giorni di esemplare viltà, le proclamazioni a mezzo stampa di scandali, vuoi che riguardino la fraudolenta natura del regime economico il quale pur tuttavia viene rappresentato sotto le sembianze della durevolezza, relativa alla potenza d’illusione dispiegata, e finanche dell’immutabilità, oppure che ineriscano alle condizioni dell’estrazione del plusvalore progredite ad un livello di sopruso e violenza impensabile all’interno della propria inconcussa amoralità, si susseguono in tempo cosiddetto “reale”, ciascuna permutabile e tale da rimuovere nelle coscienze l’intera serie delle precedenti, cosicché sia possibile ed addirittura remunerativo, dopo un calcolabile periodo di latenza, riesumarle alla stregua di subliminale parodia dell’eterno ritorno dell’identico, finché non sia fatta della verità menzogna, come già da oltre un secolo alcune menti illuminate hanno concepito non senza aggravio di dolore a sé stesse.

Sul palcoscenico principale della comunicazione di massa, attorno al quale tutti gli altri sono disposti secondo quanto istruisce un capillare addestramento alla passività e alla riproduzione tecnica dei simulacri della vita, le maschere del potere ripetono un canovaccio mandato a memoria, spalla a spalla con i loro docili complici e deuteragonisti. Cionondimeno, come mostrano le appassionate tribolazioni cui si espone Allan Montague, il protagonista di Manassas, nel tentativo di liberare un bracciante negro mentre il Paese, tra la ridda delle invettive e delle colluttazioni cui non si astengono i più insigni notabili e rappresentanti delle istituzioni, scivola verso la Guerra Civile, la letteratura dell’avvenire, nata per un popolo che saprà infine abitare un mondo senza confini né ghetti, scompiglierà le false coscienze e sussurrerà alle generazioni le parole d’amore che, lungo la storia, hanno atteso fino ad oggi.

(G. Micheli)

















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