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“Mio caro signor Sinclair:
Ora
ho letto, se non tutti, ancora una buona parte del tuo libro e se puoi venire
qui durante la prima settimana di aprile sarò particolarmente lieto di vederti.
Non penso molto al tuo corrispondente ecclesiastico. Il
duro lavoro di un quarto di secolo su ciò che potrei chiamare problemi
politico-sociologici mi ha fatto diffidare degli uomini dal temperamento
isterico. Penso che il predicatore fornisca le sue misure
quando ti paragona a Tolstoj, Zola e Gorki, intendendo così lodarti. L’abortività
della tarda rivoluzione in Russia è nata proprio dal fatto che troppa
leadership era del tipo Gorki e quindi il tipo di leadership che non può mai
portare nessuno in nessun luogo, salvo in una palude. Ovviamente il risultato
netto degli scritti di Zola è stato malvagio. Laddove
un uomo ha ricavato da loro un orrore rabbrividente per il torto esistente che
lo ha spinto a cercare di correggere quel torto, cento hanno semplicemente
avuto il lascivo, il lato bestiale della loro natura rafforzato e intensificato
da loro. Oliver Wendell Holmes ha scritto un eccellente
paragrafo su questo in Over the Teacups. Quanto
a Tolstoj, i suoi romanzi sono buoni, ma i suoi cosiddetti scritti religiosi e
riformatori costituiscono una delle forze d’età che dicono seriamente per male. La
sua Sonata di Kreutzer non poteva che essere stata scritta da un
uomo di natura morale malata, un uomo nella cui persona il devoto e il
dissoluto ottengono alternativamente il potere, come talvolta fanno nelle generazioni
successive di famiglie decadenti o in intere comunità di malsane condizioni
sociali. Alla fine del tuo libro, tra i vari personaggi
che predicano il socialismo, quasi tutti tradiscono la credenza patetica che la
capacità individuale che non è in grado di elevarsi nemmeno nel lavoro
relativamente semplice di dirigere l’individuo su come guadagnare il proprio
sostentamento, sarà, quando diventa l’incapacità associata di tutte le persone,
riesce a fare mirabilmente una forma di lavoro di governo infinitamente più
complessa, infinitamente più difficile di qualsiasi altra che la gente più
intelligente e altamente sviluppata abbia mai provato con successo. Personalmente
penso che uno dei principali primi effetti di un tale tentativo di mettere il
socialismo del tipo predicato in pratica, sarebbe l’eliminazione della fame e delle
malattie, morali e fisiche, che si affliggono per fame, di quella stessa
porzione della comunità a nome di chi sarebbe stato invocato il socialismo. Naturalmente
avete letto il resoconto di Wyckoff delle sue esperienze come manovale della
classe più bassa. Probabilmente lo conosci. Era
un uomo di Princeton totalmente privo di fisico per fare il lavoro manuale,
così come il normale operaio manuale può farlo, ma attraversando il continente
la sua esperienza è stata quella in ogni luogo, prima o poi, e nella maggior
parte dei luoghi molto presto, un uomo non molto forte fisicamente e che
lavorava in settori che non avevano bisogno di intelligenza, poteva elevarsi a
una posizione in cui aveva un lavoro costante e dove poteva salvare e condurre
una vita che si rispetti. Ci
sono senza dubbio comunità in cui tale auto-raccolta [….] è molto difficile per
il momento; ci sono indiscutibilmente uomini che sono
menomati per sbaglio (come essere vecchi e avere famiglie numerose dipendenti
da loro); ci sono molti, molti uomini che non hanno
alcuna intelligenza o carattere e che quindi non possono quindi alzarsi. Ma
mentre sono d’accordo con te che è energico e, come credo, nel lungo periodo
radicale, bisogna agire per eliminare gli effetti dell’avidità arrogante ed
egoista da parte del capitalista, eppure sono più che mai convinto che il vero
fattore nell’elevazione di ogni uomo o di qualsiasi massa di uomini deve essere
lo sviluppo nel suo o nei loro cuori e teste delle qualità che da sole possono
rendere l’individuo, la classe o la nazione permanentemente utili a se stessi e
agli altri. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con il fatto che i mali
specifici che lei indica, se la loro esistenza sia provata, e se io avessi il
potere, venissero sradicati”.
La polemica scaturitane spinse il Congresso
ad alcuni emendamenti legislativi, che regolarono le ispezioni degli enti
preposti a vigilare sulla qualità e l’igiene degli alimenti ma lasciò in sostanza
mano libera agli imprenditori dello strategico comparto produttivo per quanto
atteneva alle condizioni d’impiego della manodopera. La puritana caparbietà di
Upton non lo fece desistere di fronte alle intimidazioni delle quali il sistema
da lui denunciato non ebbe remore ad avvalersi.
Quando, alla vigilia della carneficina
imperialista in forza della quale il Vecchio Continente si dannò l’anima per
applicare alla pratica dello sterminio l’organizzazione tecnica del lavoro
sperimentata nel Nuovo, uno dei maggiori critici letterari europei, Georg
Brandes, si recò a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, questi
dichiarò ai cronisti che vi erano tre scrittori americani dei quali valutasse
ragguardevoli le opere: Frank Norris, Jack London e Upton Sinclair. L’indomani,
sulle testate che rilanciarono tale giudizio, la trinità consacrata
dall’autorevolezza dell’autore dei quattro ponderosi volumi di Main
currents in the Literature of the Nineteenth Century venne però
unanimemente mutilata di una persona, la quale, neanche a farlo apposta,
coincideva con quella dell’autore di The Metropolis e The
Money Changers.
Egli non si lasciò scoraggiare per questo,
tant’è che ne colse l’occasione per convincere il Brandes a scrivere la
prefazione del suo nuovo lavoro, King Coal, un’inchiesta sulle
lotte sindacali dei minatori del Colorado, che uscì durante le fasi cruente del
conflitto.
The Brass Check, seguito a due anni di distanza, fu un assalto diretto
contro l’industria editoriale, il cui campionario di meschinità, quale vi era
illustrato con equanime acribia, può essere assunto a base da cui desumere la
potenza mistificatoria dell’odierna, e venne dato alle stampe assieme ad una
nota introduttiva di Romain Rolland, un altro scrittore che dedicò la carriera
a promuovere pacifismo e giustizia sociale, prendendosene tutti i necessari
rischi politici, cosa che verosimilmente contribuisce ad eclissare la memoria
di entrambi nella congiuntura di pavidità e sconsolatezza che contraddistingue
l’odierno panorama intellettuale, dietro le cui alture, ormai impudicamente
artificiali o tutt’al più vagamente reminiscenti della natura che occultano con
mezzi mimetici, non emergono, fino a prova contraria, segni di solidarietà
attorno ai quali accumulare un sentimento ed un ingegno internazionalisti.
Non gettò la spugna Sinclair, neppure
allorché, si era nel pieno della Depressione degli anni Trenta, decise di
accettare la candidatura offertagli dal Partito Democratico per competere alla
carica di Governatore della California. Così, in una lettera a Norman Thomas,
che in rappresentanza del Socialist Party of America aspirò alla presidenza
dell’Unione in ben sei consultazioni consecutive, dal ’28 al ’48, Sinclair
giustificò retrospettivamente la scelta che gli era valsa la scomunica da parte
della Terza Internazionale:
‘Il popolo americano accetterà il Socialismo,
ma non ne accetterà l’etichetta. Io ho sicuramente provato ciò nel caso
dell’EPIC. Concorrendo come socialista presi 60.000 voti, e concorrendo con lo
slogan ‘End Poverty in California’ ne presi 879.000. Penso che dobbiamo
semplicemente riconoscere il fatto che i nostri nemici hanno avuto successo nel
diffondere la Grande Bugia. Non serve a niente un attacco frontale, è molto
meglio aggirarli’.
Perseverò, dunque, ad essere una spina nel
fianco del capitalismo che si venne intanto globalizzando, senza recedere
finché non si spense all’età di novant’anni in una casa di riposo del New
Jersey. Ai nostri giorni di esemplare viltà, le proclamazioni a mezzo stampa di
scandali, vuoi che riguardino la fraudolenta natura del regime economico il
quale pur tuttavia viene rappresentato sotto le sembianze della durevolezza,
relativa alla potenza d’illusione dispiegata, e finanche dell’immutabilità,
oppure che ineriscano alle condizioni dell’estrazione del plusvalore progredite
ad un livello di sopruso e violenza impensabile all’interno della propria
inconcussa amoralità, si susseguono in tempo cosiddetto “reale”, ciascuna
permutabile e tale da rimuovere nelle coscienze l’intera serie delle
precedenti, cosicché sia possibile ed addirittura remunerativo, dopo un
calcolabile periodo di latenza, riesumarle alla stregua di subliminale parodia
dell’eterno ritorno dell’identico, finché non sia fatta della verità menzogna,
come già da oltre un secolo alcune menti illuminate hanno concepito non senza
aggravio di dolore a sé stesse.
Sul palcoscenico principale della
comunicazione di massa, attorno al quale tutti gli altri sono disposti secondo
quanto istruisce un capillare addestramento alla passività e alla riproduzione
tecnica dei simulacri della vita, le maschere del potere ripetono un canovaccio
mandato a memoria, spalla a spalla con i loro docili complici e deuteragonisti.
Cionondimeno, come mostrano le appassionate tribolazioni cui si espone Allan
Montague, il protagonista di Manassas, nel tentativo di liberare un
bracciante negro mentre il Paese, tra la ridda delle invettive e delle
colluttazioni cui non si astengono i più insigni notabili e rappresentanti
delle istituzioni, scivola verso la Guerra Civile, la letteratura
dell’avvenire, nata per un popolo che saprà infine abitare un mondo senza
confini né ghetti, scompiglierà le false coscienze e sussurrerà alle
generazioni le parole d’amore che, lungo la storia, hanno atteso fino ad oggi.
(G. Micheli)
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