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Prima & Seconda Lettera (44/5)
Prosegue nella...
Terza Lettera (47)
Tante troppe
le spiegazioni ed annesse interpretazioni circa la Selva di Dante, in questa
sede mi valgo di un altro ‘deputato’ nel Parlamento ‘invisibile nel visibile’ disquisito
e nella Natura proclamato qual unico assunto di una e più concrete realtà del
Creato donde ogni cosa nata ed evoluta, proseguendo in ciò di cui già serbavo
memoria e di cui riporto il rimembrato motivo di un diverso Eretico Viaggio ‘nella
e della’ tutela di medesimo Bosco attraversato…
Nel cuore delle foreste Casentinesi, tra
Romagna e Toscana, gli addetti al normale taglio selettivo del Bosco avevano scoperto un vero e proprio gioiello
naturalistico che, secondo i forestali, andava valutato con attenzione. Il
responsabile dei tagli aveva pensato bene di chiedere il parere ad un suo conoscente,
il professor Pavan. Sì, quella piccola porzione di Selva era antichissima, con
faggi colonnati di dimensioni mai viste. Così venne stabilito da Pavan dopo i
sopralluoghi. Nel corso dei secoli quegli alberi erano stati risparmiati dai
normali tagli selettivi semplicemente perché si trovavano in un posto troppo
difficile da raggiungere, troppo scosceso e lontano dalle strade per poter prelevare
tronchi.
Un luogo che ora andava assolutamente
protetto.
Ma come?
In quel momento mancavano leggi adeguate
alle quali appoggiarsi per costituire qualche forma di tutela. L’Art. 9 della Costituzione tutela del
paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della nazione, certo ma senza i
necessari strumenti giuridici quel preciso dettato non era applicabile. Si
poteva ricorrere alla formula dei parchi nazionali, ma era impensabile
adattarla ai pochi ettari di territorio appena scoperti. Con l’appoggio
dell’Università di Pavia, Pavan iniziò a fare pressione con i funzionari dei
vari ministeri competenti, offrì la sua consulenza alle commissioni
parlamentari preposte e, alla fine grazie al suo lavoro, venne varata le Legge
sulle Riserve.
Nacque così la Riserva integrale di Sasso
Fratino…
(M. A. Ferrari, La via incantata)
Approfondiamo…
…Nel
1380 la Repubblica Fiorentina sconfigge militarmente i Guidi. La foresta fu
confiscata ed assegnata, con due successive donazioni, all’Opera del Duomo di
S. Maria Novella. L’opera iniziò un intenso sfruttamento commerciale della
foresta. Il legname dell’Opera era molto richiesto dai cantieri navali di Pisa
e di Livorno e dalla città di Firenze per la costruzione di palazzi e chiese
(tra cui il Duomo stesso). La gestione consisteva nello sfruttamento
indiscriminato degli alberi di maggiore pregio (una sorta di taglio a scelta
commerciale) e cioè degli abeti plurisecolari che si potevano trovare nel bosco
misto di abete e faggio. Per esempio, la realizzazione di un albero di maestra
di galeazza (l’assortimento di maggior pregio) richiedeva un toppo della
lunghezza di 28 metri, con un diametro in punta di 46 centimetri! I tagli erano
effettuati preferibilmente nelle zone più accessibili, cercando, con scarsi
risultati, di sfruttare le altre zone (tra cui l’attuale riserva di Sasso Fratino) mediante concessioni di
taglio a terzi e assegnandole alle popolazioni locali perché vi esercitassero i
loro diritti di legnatico. Gabrielli e Settesoldi (1977) riferiscono di documenti
del 1701 in cui l’Opera del Duomo disponeva che le concessioni di taglio di
legname a terzi dovessero essere fatte
in zone particolarmente impervie, mai interessate da tagli da parte delle maestranze
dell’Opera; tra queste località veniva indicato anche il nucleo centrale
dell’attuale riserva di Sasso Fratino,
destinata agli abitanti di Ragginòpoli (frazione di Poppi-Arezzo). Anche in
seguito (1721) vennero espresse analoghe raccomandazioni, segno che i tagli non
vennero eseguiti completamente, se non tralasciati. Il
legname veniva esboscato a strascico, mediante l’utilizzo di buoi fino alla
Badia di Pratovecchio, sede dell’amministrazione, ed ammassato nei piazzali in
attesa delle piene dell’Arno. Il legname veniva quindi riunito in ‘foderi’
(rudimentali zattere) e fluitato fino a Firenze o a Pisa. La gestione dell’Opera
determinò la sostituzione di buona parte del bosco misto originario in più
redditizie abetine, attraverso un’aspra lotta al faggio ed alla sua
rinnovazione. Alla lunga, le foreste vennero notevolmente impoverite da
questo tipo di gestione: tagli a scelta commerciale, ignoranza delle pratiche
del vivaismo e del rimboschimento, ingenti tagli abusivi. A ciò si sommava la
pressione esercitata dalle popolazioni romagnole, che attraverso un eccessivo
pascolo in foresta e la pratica del ‘ronco’ (taglio, abbruciamento della
ramaglia e dissodamento) determinava una progressiva riduzione della superficie
forestale e notevoli problemi di tipo idrogeologico. A causa della caduta del
prezzo del legname avvenuta nel 700, la foresta, non più redditizia, nel 1818
venne concessa in enfiteusi ai Monaci Camaldolesi, ma la situazione non
migliorò…
(Wikipedia)
…Cosa significa essere Eretici quando la
maggioranza nella ‘verità’ e successiva ‘menzogna’ e una ‘menzogna’ per una ‘verità’
abdicata o dimenticata fors’anche taciuta si contraddistingue e differenzia con
tutto ciò che ne consegue per chi poco si intende di Poesia con la classica
doppiezza elevata a politica e successivamente rivelata come la ‘limitata’
disgiunta natura nella quotidianità raccolta ‘della e nella’ ortodossia detta
contraddistinguere un intero popolo una intera nazione… una intera Dottrina…
Non mi dilungo sulla polemica giacché la
Selva così come ogni singola Natura di cui si compone principiare la vita, come il Diritto linfa della
democrazia in medesimo bosco o selva quotidianamente vissuta con la pretesa di
taluni (o troppi) farne nella doppiezza figlia di nessuna Poesia o Rima che sia
una giungla (il diritto per ogni specie evoluta violato ed esiliato con ugual
principio di Vita da questa Storia o Genesi più che conosciuta e costantemente,
pur l’apparenza…, ciclica nella breve Memoria). Poesia esiliata da chi servo e
corrotto pensa se medesimo signore della materia… usurpandone ‘regalità’ e
‘divinità’ ed offrendo veleno spacciato e confuso per nettare della terra…
In attesa del 9 confermare la vera
tutela… (se pur annotiamo conflittuale disgiunto compromesso d’una errata
lettura nell’odierno trittico e non certo Opera o Arte che sia opposto a quanto
di superiore natura nella Poesia racchiusa approdare sino a quel veleno detto
motivo della velata celata doppiezza pur non essendo specchio di qualsivoglia
Selva scritta nella foglia non certo appassita nell’Autunno della vita ma morta
- o peggio - arsa al rogo del veleno rivenduto ed elevato qual solfurea materia
promossa a futura dottrina) qual Poesia così come dal senatore Giosuè
annunziata nell’oltraggio chi da questa trae linfa e cagione dell’intera Vita
così come la Selva dal Rettore Dante cagionata… ma quantunque dalla Natura
dedotta…
E ciò vale (di rimando) anche
per la Democrazia…
…E
pria di tutto premettiamo che quella stessa Beatrice nove, tre via tre, è
da lui detta donna della salute, ed ei ne scrive così: “Quand’ella appariva da parte alcuna, per la
speranza dell’ammirabile salute nullo nemico mi rimanea; e chi allora m’avesse
domandato di cosa alcuna, la mia risposta sarebbe stata solamente: Amore con
viso vestito d’umiltà. E quando ella fosse alquanto prossimana a salutare, uno
spirito d’Amore, distruggendo tutti gli spiriti sensitivi, pingea fuori gli
deboletti spiriti del viso, e dicea loro: Andate ad onorare la donna vostra. E
quando questa gentilissima salute salutava, diveniva tale, che il mio corpo, lo
quale era tutto sotto il reggimento d’Amore, molte volte si movea come cosa
grave e inanimataci; sicché appare che nelle sue salute dimorava la mia
beatitudine, la quale molte volte passava [non una, ma molte volte] e redundava
la mia capacitate”. (Vita
Nuova.)
Se vuoi vedere come Amore adoperava in lui,
e come per tal operazione d’Amore, la sua beatitudine redundava la sua
capacitate, lo troverai nello stesso libello, dove è descritto che ‘gli spiriti
fuggon da lui, ed escon fuori chiamando la donna sua, per dargli più salute’. Pria
che consideriamo la canzone la quale tratta della salute chiesta a quella donna
a cui Pittagora pose nome Filosofia, donde in gergo rileviamo ciò di cui dicesi
ancora, mirare all’oriente e all’occidente, che suonano in latino ‘nascente e morente’,
relativamente al Sole simbolo della ragione. Onde la Poesia nello schiudere gli
spiriti nella piante…
Tanto già cadde che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,
Fuorchè mostrargli le perdute genti;
Per questo visitai l’uscio de’ morti,
Ed a colui che l’ha quassù condotto [Virgilio]
Li prieghi miei piangendo furon porti.
(Purg. xxx)
Non combatto la verità
con il fuoco dell’ignoranza che avanza, rimango in ascolto della meravigliosa
armonia e quando la nota di ogni strofa percepita mi accarezza l’anima fin a
quel momento assopita, io rincorro il vento e parlo con la foglia, scruto la
rima, poi seguo il torrente e come un pazzo uscito di senno inondo la vallata
della mia poesia.
Mi raccontano, ora, la
loro storia, l’inganno e il patimento subiti nel Tempo. Quando ornavano la
bella vallata, quando raccoglievano il sole… e la cima donava linfa principio di vita. Poi venne uno
strano uomo, padrone del loro arbitrio, volle abbattere e profanare quanto
spetta al Primo Architetto creatore Straniero dell’Universo mai detto.
Volle sottomettere e
controllare la vita che da secoli governa l’intera vallata. Volle aprire il
sentiero nominato ‘progresso’, una paginetta scritta nel Tempo, un Secondo
contato nella materia, lui per il vero è solo una virgola, un punto…, l’inutile
grammatica di questa storia qui e per sempre perseguitata, forse perché la
verità non può essere narrata?
Volle abbattere
secolari Dèi, piante e arbusti nel Tempo cresciuti.
Volle abbattere la vita
che dimora all’alba di una Prima Mattina, quando un uomo, un Dio sceso si
confuse e vagò nella nebbia del suo Universo, volle scrutare il sogno nella
materia creato, per poi piangere il suo vero Creato.
Ma ora che il ricordo
si fa tempesta, e la neve… strofa di questa eretica preghiera, a lui rimane
solo la memoria della triste tortura ricevuta: quando una bella mattina fu
lentamente abbattuta, una giornata intera di vita compiuta e una lenta rima al
rumore di una accetta, Tempo che batte la lingua sul tamburo di una nuova
calunnia rogo al calore della Storia.
Una giornata di
martirio come una vita dedicata a Dio quando al rogo arde l’innocenza della
vita vittima di una falsa preghiera, e la verità perì con lui nel bosco di una
fitta nebbia di Prima materia creata nell’invisibile pensiero di una volontà
celata alla comprensione di una immagine mai svelata e narrata.
Ugual sorte toccò ad un
altro arbusto come fosse stato suo fratello nel martirio subito, proprio lì
all’inizio del grande sentiero. Si piegava al vento come fosse stato uno strano
lamento, poi gli furono spezzati uno ad uno i rami, come quando si mozzano le
mani e gli arti ad un uomo in una guerra incompresa, stagione del Tempo che
avanza nella fredda nebbia che avvolge l’intera vallata, affinché la lenta
agonia inflitta diventi verità compiuta, il rumore sordo dell’accetta una sana
preghiera… pagina della memoria.
Alla fine di quella
funesta e terribile giornata fu legato con una corda stretta alla cima di un
masso scolpito in un Teschio di una impervia via, fu trascinato senza riguardo
per il piacere di strappargli la vita, fu mortificato per il diletto nominato
dovere nell’apparente legge della vita.
Lei morì nella sua
grande bellezza, se pur privata della radice, rimase dritta sospesa come per
ingannare l’attesa, così immobile e priva della vita era più bella di prima.
Rimase dritta ed eterna come a guardia della sua cima accanto alla foglia
ingiallita… compagna di un'altra vita, eresia mai svelata per l’invisibile via.
Fratello in ugual sorte di chi non conosce la morte, abdicando alla vista
l’inganno scritto nella debolezza del Tempo, lasciando alla vista l’illusione
della morte e la fine diviene spirito di
vita.
Certo che la stagione
avanza, ma guarda il mondo e contempla la vita con l’anima di una diversa rima,
riscalda la stagione della tua nuova venuta con la saggezza che illumina
l’invisibile via intrapresa; certo che lottiamo, da quando fui maestro e poeta
di una immensa cima, combattevo il male di un’altra vita. Combattevo la materia
invisibile alla tua misera ora e lo spirito rinasceva nella tua parola per ogni
calunnia detta e non detta, mentre mortificavi la carne della Prima Venuta con
l’arma di una stagione compiuta: tu combatti il Tempo e il Tempo ti studia per
ogni bestemmia detta con la complicità divenuta preghiera.
Ridevi così
all’invisibile strofa mentre lo spirito acquista nuova vista sì che la tua rima
concime di vita, mentre contrasta lo spirito dell’invisibile stagione non
ancora venuta, rinasce e narra la storia a te per sempre celata (e giammai
riconosciuta) per ogni violenza compiuta…
Ecco il mistero di
questa immonda eresia: tu cerchi il calore della vita all’albero della tua
ultima venuta, io vago nel freddo senza Tempo dell’opera taciuta e la vista
coglie lo spirito (prigioniero) della vita in ogni opera che tu pensi compiuta…
perché scritto nella materia della tua visibile (e Seconda) natura…
Rimase immobile nel
ricordo racchiuso nel sogno della linfa specchio di una foglia, lui che fu
privato ed ingannato della vita ora con una corda è trascinato lungo la via,
lui che non voleva morire e donava solo memoria, ora su un fuoco dovrà patire il rogo per tutte le vite
di troppe eresie all’ombra di uno stretto cortile che conta l’ora della fine.
Lui che indicò il pensiero ad ogni illustre o stolto forestiero, lui che indicò
la via quando il caldo soffocava l’ora e il sudore di un ricordo antico
scendeva goccia a goccia da un viso d’improvviso impietrito, come una paura
raccolta da una fuga agitata, un frutto, ricordo di un sogno interrotto:
stanchezza che sa’ di paura taciuta poi
una sete agitata, un attimo di salvezza ed il pensiero torna vivo
nell’invisibile frescura di un ombra
scura…: il viandante risorge alla sua nuova natura… Solo un incubo raccolto da
una fatica dura, Prima anima racchiusa nello specchio di un lenta tortura
prigioniera di una Seconda natura…
Lui che parlava come
una rima racchiusa all’ombra della sua poesia, ora tagliano e deturpano ogni
suo frammento, immobile ed eterno nell’apparenza di un tronco di legno non ancora
sepolto al fuoco dell’architettura nominata vita, lui come un fante in questa
guerra ora è trascinato via… a miglior vita…
Mi ricordo di loro in
questo momento senza Tempo, in questo grande albergo, ma sono solo uno
Straniero come una foglia al vento di un lungo inverno coperto di neve, chi mi
vede ha la strana visione o forse solo illusione, ma per taluni è assoluta
certezza, di un pazzo vicino ad un bosco, immobile come una preghiera del Tempo
privato della parola.
Immobile e coperto di
neve in questo specchio di Tempo riflesso nell’ora nominata Autunno, calendario
di una antica litania che vorrebbe essere vita,
certezza costretta ed ancorata ad un lento patimento all’urlo ingordo di
una bufera che spazza e cancella ogni cosa perché così è la storia, lasciando
solo cenere al vento perché lo scheletro anche privato di ogni foglia è troppo
bello esposto a quel tormento, ed ugual viandante al fresco di un primaverile
ricordo rimembra il sogno al suo cospetto divenire silenzioso rispetto.
Mira la stessa via ed
il pensiero muta in preghiera fors’anche invisibile eresia: un poeta ad ugual
vista divenne profeta, un viandante mutò la sua seconda natura, un boia
seppellì la sua corda, un soldato depose la sua spada e contemplò di nuovo la
vita, un prigioniero mi narrò l’intera sua via quando il ramo spezzò la cima
della corda che lo teneva stretto alla soffocata vita, una donna cercò l’amore
scoprendo la foglia della sua ugual natura, un bambino trovò il seme
dell’intera sua esistenza divenne nuovo profeta, un affamato mi accarezzò un
ramo e io appagai la fame della sua venuta, un prete bigotto, invece, lo spezzò
per farne un bastone, poi accese un fuoco con decisione: dalla fiamma di quel
ricordo divenne cacciatore e ad una strega fanciulla senza più onore rubò la
segreta natura mentre quella gridava nella violenza taciuta del suo dolore…
foglia caduta…
Anch’io feci la stessa
sua fine e lo scheletro della prematura sepoltura non allieta neppure la vista
dell’ingorda natura, strada nuda che all’ombra del mio ricordo ora non matura
più il sogno, ed il volgo muta la sua Prima Natura racchiusa nella visibile
materia che trasuda invisibile onda: un traliccio color acciaio dove un mare
agita e smuove ogni ricordo… nella falsa certezza nominata parola… rima di un
falso progresso in nome del mio patimento, morire a stento foglia bruciata
all’onda del vento…
Ora l’Inverno della
prematura fine della Natura si avvia al convento della Storia, sempre la
stessa, certo più brutta e volgare della semplice e povera foglia, ma grazie a
quella ogni pensiero compie la sua lenta evoluzione e all’ombra del fumo della
falsa dottrina ogni morte si avvicina. Un frammento di neve mi sussurra nella
pagina della sua nuova venuta una strofa una rima, simmetria della vita, mi
narra la strana avventura entro la carne nominata vita perché con il dono della
parola fu destinata ad una lenta tortura.
Mi narra di quando
cadde nel corpo della morta materia, lei che solo linfa era, poi ebbe ogni
sorta di tortura, quando solo la vita celebrava…
Quando solo bellezza
concedeva ad ogni nostra muta preghiera…
Quando solo la vita
prometteva ad ogni respiro della nostra immutata èra…
Ebbe ad espiare colpe
mai commesse, ebbe a soddisfare passioni e desideri sfrenati e nascosti, lei
che vegliava la vita all’ombra di un desiderio appena scorto vicino alla radice
dove un uomo azzanna la bellezza come fosse un desiderio represso e mai
concesso al falso progresso…
Lei che vegliava quelle
misere ore all’ombra di non visti strani accadimenti.
Ricorda un uomo godere
dei suoi frutti e divorarli come pensieri strani e arguti di una guerra
infinito principio di vita.
Ricorda quell’uomo
godere del sapore freschezza e linfa di stagione, del suo principio come fosse
un frutto proibito di uno strano giardino.
Ricorda di averlo visto
azzannare e masticare con i denti non riuscendo a distinguere il profumo,
perché è solo un istinto astuto caduto in un moderno mito incompiuto.
Ricorda il suo istinto
evoluto non percepire odore né sapore, non scorgere colore…, pur parlando della
vita del nostro ugual Creatore…
Ricorda di averlo udito
mentre mastica ugual Genesi e Principio dal palato così mal concepito, il suo è
solo istinto immaturo mentre ruba il mio frutto maturo…
Ricorda spogliare i
rami di ogni frutto senza rendere di quanto ricevuto, forse perché si pensa
astuto, forse perché non ode la voce del vento mentre risentito per l’accaduto
abbatte il suo ordine incompiuto: ha scomposto la regola della vita e gode del
frutto mai seminato nel giardino dell’eterno peccato all’ombra della foglia…
sogno per sempre perduto…
Forse perché un albero
muto può anche essere abbattuto… dopo averne impropriamente goduto ogni suo
frutto maturo.
Forse perché alla sua
ombra ogni dottrina può essere consumata a chi pensa la vita riflessa nella
Natura cieca muta e senza il dono della parola.
Forse perché quello è
solo un albero del suo Dio e lui può disporre di ogni suo frutto pensando il
Creato opera del suo palato…
... Ma ora la neve
avvolge e torno al freddo del Primo Dio quando ero solo spirito e pensiero di
un incompreso ed infinito evento fuori dal loro Tempo. Ora il freddo porta il
sommo colore della passione dopo un’intera stagione dedicata alla vita, la
linfa lenta scorre dalle vene e un urlo soffocato di dolore misto a piacere
regala bellezza a chi non vede la segreta via racchiusa nell’incompiuta materia
governata da un Secondo muto alla vista, nello spirito Ora di nuovo nel suo
Universo taciuto…
Torno a remare nella
fredda simmetria di un Primo Pensiero compiuto e racchiuso nell’inverno di una
morte apparente donde la vita per il vero proviene….
Quando nella nuova
simmetria della neve qualcuno riconoscerà il mio profilo taciuto, vita di un
disegno compiuto, qualcuno proverà diletto incompreso al caldo di un pensiero
goduto al fuoco del mio Frammento donato e bruciato nel Tempo di questo misero
Creato.
Proverà piacere e
diletto nel freddo e morto vento, proverà piacere a scivolare ed accarezzare la
neve, se pur fredda da lei nascerà la Primavera, se pur apparente nemica della
vita, da lei sgorgherà la linfa… della vita…, ed in quella misera e solitaria
bufera troverà un Primo Pensiero taciuto e bruciato al rogo di un Dio
incompiuto…: scorgerà il mio profilo, il volto della vita ornare ed
accompagnare il passo chi di nuovo fuggito dal calore di una apparente materia
che orna ogni falsa ricchezza….
Io spoglio e caduto
sogno il mio Dio taciuto…
Ora che la neve mi
avvolge guardo allo specchio lontano nella sala
illuminata dai colori di ogni mio principio, scorgo la parola celebrata
al tepore di un fuoco che scalda l’illusione di un falso ricordo, perché nel
Tempo la verità hanno ingannato e poi sacrificato al rogo del loro… Creato…
specchio di ogni elemento incarnato…
… Nel silenzio del
desiderio compiuto di un Dio per sempre taciuto…
(G. Lazzari,
[L’Autunno] Lo Straniero)
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