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Contro i bronzi di Riace armati di pistola laser &
Dagli avvoltoi alle api
Inutile dire che
anche la concessione autostradale ai
Benetton, come quella ai Gavio, viene prolungata (ripetiamo: fino al 2042) automaticamente.
Senza che venga indetta alcuna gara. Eppure sarebbe obbligatorio in base alle
regole europee, oltre che conveniente. Per aggirare l’impiccio di Bruxelles, e scialare
in santa pace, viene usato, però, sempre lo stesso escamotage: ci si appiglia
cioè agli investimenti (in questo caso la Gronda di Genova, la terza e la
quarta corsia in Emilia e Toscana), dimenticando che in fondo quegli
investimenti erano già previsti nei piani finanziari, e dunque negli aumenti di
tariffa autorizzati negli anni passati. Ma che ci volete fate? Noi siamo fatti così.
Generosi. Pur di permettere ai signori di Treviso di dormire sonni tranquilli
fino alla metà di questo secolo, siamo disposti a tutto. Anche a forzare le
regole, che prevedono la gara pubblica. Anche a far innervosire Bruxelles.
Anche ad aprire estenuanti trattative con i commissari europei. Anche a subire sanzioni
e richiami. Lo dimostra il caso della tratta tirrenica, 202 chilometri previsti
e mai completati fra Livorno e Civitavecchia, sempre gestiti dalla società che
fa capo a Treviso. A tutt’oggi i chilometri
aperti sono appena 55, il piano di investimenti è fermo al 12 per cento di realizzazione
(dodici per cento!), eppure la concessione è stata prolungata dal 2028 al 2046.
Perché?
Perché sì!
L’Europa ci ha provato
in tutti i modi a dissuadere l’Italia dal fare questo regalino senza motivo: ‘non
puoi farlo’, ‘meglio se eviti’, ‘lascia stare’, ‘lascia perdere’, ‘apri alla
concorrenza’, ‘è troppo sporca’, ‘non va bene’.
Niente da fare.
Noi testardi come
dei muli.
Quando c’è da
dare una mano ai Benetton non ci fermiamo davanti a nulla. E così il 17 maggio
2017 la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia
per violazione del diritto dell’Unione. Finiremo anche a pagare una multa per
loro?
‘Torno a colorare
il mondo e a difendere i diritti’,
ha detto Luciano
Benetton nella già citata intervista a ‘Repubblica’, che ha segnato il suo rientro
in azienda.
Ecco, d’accordo: vanno
bene i diritti civili, i diritti umani, lo ius soli , i gay, United Colors, i bimbi
bianchi e neri, i preservativi, ecc. Ma i diritti dei contribuenti, quelli,
Benetton non li difende mai? Nemmeno una volta? Nemmeno per sbaglio? Fra l’altro,
non ho mai capito perché abbiamo sempre dovuto fare dei gentili omaggi ai
signori di Treviso. Ce lo ha ordinato il medico? È obbligatorio? È un vincolo
costituzionale? Non so rispondere. Ma so che è così.
Infatti la nuova
vita post-maglioncino dei Benetton è cominciata proprio con un affarone con lo
Stato: era il 1995, tempo di privatizzazioni spinte, e loro comprarono
dall’Iri, per 704 miliardi delle vecchie lire, i supermercati Gs. Cinque anni
dopo li rivendettero ai francesi di Carrefour per circa 5000 miliardi delle
vecchie lire. Così si trovarono in tasca un buon gruzzoletto con cui poterono
far fronte ai nuovi impegni: nel 1999, infatti, l’Iri aveva deciso di mettere
sul mercato quella che era definita la ‘gallina dalle uova d’oro’, cioè la società
Autostrade, e i Benetton ne erano diventati gli azionisti di riferimento, prima
con il 30 per cento, poi con il 100 per cento del capitale. Così le uova d’oro,
da quel momento, sono finite direttamente dal casello a Treviso, senza passare
dal via.
In questi anni ci
si è fatti molto spesso (ma sempre molto sommessamente) diverse domande. Per
esempio: perché l’Iri vende una gallina dalle uova d’oro? Perché a quel prezzo?
E perché lo fa subito dopo che la società Autostrade ha ottenuto il rinnovo
della concessione fino al 2038? L’economista Giorgio Ragazzi, che ha studiato a
fondo la materia, sostiene che in quel momento l’Iri non aveva bisogno di far
cassa, dal momento che gli obiettivi di risanamento finanziario per l’entrata
nell’Ue erano già stati raggiunti: perché vendere quel tesoro, allora? E perché
venderlo senza mettere clausole più severe sulle tariffe? Oppure chiedendo in cambio
più soldi, come è accaduto in altri Paesi europei?
La vendita della
gallina delle uova d’oro, infatti, rese allo Stato 6,7 miliardi di euro. Se non
fosse stata venduta, in questi vent’anni avrebbe portato nelle casse pubbliche
molto di più. Invece quei soldi sono finiti ai privati. E, a proposito di
privati e di soldi, mi sia concesso un inciso: lo sapete chi era il presidente
dell’Iri fra il 1997 e il 1999, cioè quando sono state prese le decisioni fondamentali
per la privatizzazione delle autostrade? Gian Maria Gros-Pietro, pezzo grosso
dell’economia italiana, professore universitario alla Luiss, origini torinesi, frequentazioni
in tutti i salotti che contano, forte amicizia con Prodi. E lo sapete che
incarico ha avuto, dopo la privatizzazione delle autostrade, il professor
Gros-Pietro?
Fra il 2003 e il
2010 è stato presidente di Atlantia, la società del gruppo Benetton che controlla,
per l’appunto, le autostrade privatizzate.
Succede anche
questo in Italia: uno è presidente di una società pubblica, vende a un privato
un pezzo del suo impero e poi va a lavorare con il medesimo privato. Tutto
legale, tutto regolare, come il compenso che Gros-Pietro percepiva dai
Benetton: oltre 1 milione di euro l’anno. Fra l’altro: adesso il professore ha cambiato
azienda, ma è rimasto nel settore. È diventato presidente della Astm, la
holding che controlla le autostrade private del gruppo Gavio. Si deve
accontentare di 340.000 euro l’anno che però arrotonda con i 900.000 euro che
gli dà Intesa Sanpaolo, dove è presidente. A lui, se non altro, il rincaro al
casello non pesa troppo.
(M. Giordano,
Avvoltoi)
(per diritto citazione art. 70 Legge 22/04/1941
n. 633)
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