Precedenti capitoli:
Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre (22)
Prosegue...
Nell'eterna fuga (24)
...Della bellezza della (vera) Natura (25)
Ora hanno un pazzo a bordo!
Alexander Klotz resterà impietrito per
intere settimane. Talvolta, quando le spinte glaciali dell’inverno li
colpiscono, quando i malati di scorbuto gemono nella febbre e una tormenta di ghiaccio
ricorda loro la fine dei tempi, essi giungeranno a invidiare il cacciatore che
è così assorto in se stesso e sembra non riconoscere più nulla della loro
realtà. Eppure quest’inverno sarà meno impetuoso e crudele del precedente.
Qui, vicino a terra, al riparo della loro
terra, le spinte glaciali sono meno violente, il vuoto non è così immenso e
inoltre essi sono sorretti dalla speranza di esplorare la terra nella prossima primavera
per poi tornare a casa e, se dovesse essere, torneranno anche a piedi marciando
sul ghiaccio. Torneranno, anche se ora diciannove di loro recano i segni dello
scorbuto.
Marciare marcire morire
resistere pregare parlare giammai recitare solo unire ciò che rimane dal passo
inquieto dimenticato… i venti ululano spargano sangue spargano urla disperate
membra fratturate come sassi sparsi lungo il cammino… concimano peggio del letame…
una baracca ove ripararsi poi proseguire senza capire solo obbedire sperare che
l’amico di ieri non sia il nemico di domani pochi anni son passati da quando ci
scorgevano entro fienili assaporare la primavera benedire parlare con la neve ed il ghiaccio ora la
mira si fa confusa scorgo solo il lamento della pioggia…
…Vegliare e restare il turno
di guardia reclama dovuta mira, al di là un’altro Spirito assorto recita ugual
Memoria…
Sì, torneranno queste Anime
questi Spiriti questi volti smarriti impietriti più duri del sasso e della
neve…
Ricordi che pensiamo morti.
…Li vedo li scorgo ne odo le
voci frusciare fra chiome di Alberi inquieti mentre l’agonia del lungo Inverno
stenta a cedere ed abdicare il passo smarrito d’un tempo mutato…
Una nuova conquista, una
nuova Guerra, un cimitero da difendere, una casa divisa. Una famiglia
distrutta. Una Genesi contorta fondare oscuri confini della Storia.
Un Tempo malato senza Memoria
s’arrampica conquista la cima non udendo lo strato della crosta volgere come un
terremoto mutarne il clima…
Due i Sentieri che lenti si
diramano lungo la Via…
…Due i Passi contesi dalla
Storia per chi il dono dello Spirito resuscitarne la Memoria.
Ravvivarne la linfa come una
eterna Primavera… scorgerne i pensieri soffocati d’un futuro destino più duro
del ferro…
‘Mutare il Destino!’, reclama
forte un ramo contorto, mentre un canto, un inno alla gioia recita antica preghiera.
…Un Lupo mi fa compagnia in
questa strana predica…
Due i Sentieri lungo questa
Via…
Odo i ricordi, odo i fucili,
rimembro i confini mutare le Stagioni d’un futuro boato al rumore sordo d’un
cannone soffocare e sommergere i flutti d’un torrente che sgorga da vene colme
di vita, non s’ode la sua preghiera…
Un fucile tacita il Ricordo
lo Spirito risorto, il suo inquieto assurdo rumore penetra le vene, il sangue
lento scorre come e più del torrente.
Precipita a valle per colmare
e fondare la Vita…
Ma il ricordare confonde le
menti: risolute conquistano la vetta al motto d’una nuova antica dottrina…
Difendere i confini.
Gente che fugge.
Trincee scavate lungo il
monte, ululati di Lupi, lingue taciute nel silenzio rotto da un lampo neppure
un fulmine solo acciaio brillare e tingere il giorno così come la notte.
La guerra ferisce ogni monte
e collina ove un tempo si beveva buon vino ora sgorga un fiume di sangue…
Avanzare e ritritarsi….
…E il Tempo consuma ciò che
rimane…
All’epoca mi ero già così familiarizzato con i
diari di Mazzini, che questa macchia di vino rosso mi catapultò su un lastrone
di ghiaccio: Mazzini aveva descritto gli orsi polari cacciati dall’elicottero
con fucili anestetizzati. È un movimento inimitabile, quasi aggraziato, quello
con il quale questi animali si rizzano, allungano il muso verso l’alto fiutando
qualcosa (poi... talvolta nonostante l'enorme ‘mole’ corrono a perdifiato sul
ghiaccio...). L’elicottero si avvicina e allora accade ciò che nell’Artico non
accade quasi mai: gli orsi si danno alla fuga, si allontanano trottando, sempre
più veloci; infine non è più un trotto, ma una corsa elastica e possente.
Le bestie superano le ampie crepe che solcano
le placche, attraversano i canali a
nuoto e mutano improvvisamente e inaspettatamente direzione.
Ma poi l’elicottero è sopra di loro, vengono
colpiti dalle frecce e la corsa si trasforma in un malfermo barcollio. Infine
giacciono sul ghiaccio; lontani tra loro. Sono tre. Viene loro strappato un
dente dalla bocca. Una macchia di sangue stilla sul ghiaccio accanto al cranio.
Con una pinza si applica loro un marchio metallico all’orecchio, un sottile
rivolo rosso cola lungo la pelliccia sulla quale viene infine spruzzato anche
un grande contrassegno colorato. Così si potranno seguire i percorsi degli orsi
per centinaia di chilometri di ghiaccio. La macchia di sangue, sulla quale si
formano rapidamente cristalli di ghiaccio, impallidisce.
(Anche a questa macchia si riallaccia un
ricordo: nel corso della sua avventura, l’equipaggio della ‘Admiral Tegetthoff’
abbatté 67 orsi polari, con fucili Lefaucheaux e carabine Werndl. I cadaveri
venivano smembrati con scuri e seghe da ghiaccio sempre secondo il medesimo
schema: il cervello agli ufficiali, la lingua a Kepes, medico della spedizione,
il cuore a Orasch, il cuoco, il sangue ai malati di scorbuto... l’arrosto di
polmoni e le cosce alla mensa comune, il cranio, la spina dorsale e le costole
ai cani da slitta, la pelliccia in un barile e il fegato... ai rifiuti...).
Nell’oscurità cominciò a nevicare...
Siamo peggio di ciò che cacciamo.
Siamo peggio di ciò che pensiamo
nutrirci.
Siamo peggio del ghiaccio e della
neve.
Siamo peggio della tormenta che
gonfia il torrente.
Siamo peggio di questi ululati
disperati: odono il domani affacciarsi all’oscuro presente.
Siamo peggio dei latrati rubati
alle urla soffocate divenire tormento per ciò che nella piazza viene difeso
come cani aggirarsi con musi segnati dall’odio…
Non sono ululati neppure latrati
rette parole udite con orrore, abbiamo salutato ciò che rimane della loro ‘Compagnia’,
ad ognuno abbiamo stretto le mani e neppure fatto il segnale convenuto digitato
alla parabola di turno solo una parola per la trama della storia giacché ora
sono il tirolese: saluto ognuno!
Addio amici futuri camerati e
compagni, mi dissolvo nel vento evaporo lento fino ad una nuvola precipito da
quella come un Dio cavalco il Fiume risalgo il Torrente rosso sangue l’Elemento
si sposa e congiunge con il ghiaccio e la neve precipito a valle muovo una
turbina la Terra mi ispira semino il fiore ne odo il profumo appassito la
Stagione muta non recita Poesia ravviva il ricordo lento procedo lento non
penso tornato dalla guerra diverrò più duro della pietra del ferro e non certo
per forgiare la strana loro armatura la stretta feritoia ove un tempo
prendevamo la mira rima nuovi ricordi il viso scuro come e più del carbone
qualcuno mi addita come una bestia malata del proprio dolore di vita dura per questa
nuova cima per questo Sentiero fin dentro l’antica grotta scavata nelle viscere
della Memoria… Tre centesimi e una crosta di pane neppure il sale per la
minestra ed il futuro che avanza e marcia a passo d’una nuova guerra…. Sì
lascerò anche questa miniera dovrò fuggire disertare salutare ognuno lontano s’odono
di nuovo i fucili come fuggire dal sentiero come fuggire questo passo come dar
linfa ad una nuova primavera che non sia una Storia già vista e nata morta…?!
Addio amici compagni futuri
camerati…
(C. Ransmayr, Gli orrori dei ghiacci e delle
tenebre; accompagnato dal coro di voci, Sinfonia 1/2) )
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