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Moltitudine (14)
Aristotele,
lo riconosco, nel suo acuto singolare libro sulla fisionomia non ha fatto cenno
alcuno alla chiromanzia; pure io credo che gli Egizi, i quali più si
avvicinarono allo studio di quelle mistiche e astruse scienze, ne avessero una
qualche conoscenza; quella di cui più tardi si vantarono quei finti Egizi
vagabondi (o meglio ciarlatani anche se dotati di nuove palle di cristallo con
cui coniugare medesima ciarlatana scienza), i quali forse ne conservarono
alcuni principi corrotti, che talvolta potrebbero o vorrebbero far
corrispondere al vero i loro prognostici.
….Essere
riservati, in quanto non studio unicamente in tal modo, per amor di me stesso,
ma per amore di coloro che non studiano per proprio conto.
Non
invidio alcun uomo che sia più dotto di me, ma commisero quanti lo siano di
meno.
Non
istruisco per tenere in esercizio il mio
sapere, o per alimentarlo magari e tenermelo vivo nella mente, anziché allo
scopo di produrlo e diffonderlo nella sua; in mezzo a tutti i miei sforzi, uno
solo è il pensiero che mi avvilisce: che la capacità da me acquisite debbano
perire insieme a me, e che io non posso farne un lascito da dividersi fra i
miei amici onorati.
Non posso
litigare con un uomo o disprezzarlo a causa di un errore, né concepisco come
una divergenza di opinioni debba dividere il nostro affetto: poiché le
controversie, le dispute e le discussioni, in Filosofia come pure in Teologia,
se si imbattono in temperamenti prudenti e pacifici non vengono meno alle leggi
della Carità.
In tutte
le dispute, l’effetto raggiunto si manifesta negativo in proporzione alla
passione che in esse si mette, poiché in tal caso la Ragione, come un cattivo
segugio, si esaurisce e seguendo una falsa traccia abbandona il problema
iniziale. E questa è una delle ragioni per cui le controversie non sono mai
portate ad una conclusione; poiché, pur essendo ampiamente enunciate, esse
vengono a malapena trattate, tanto si gonfiano di disgressioni inutili; e la
parentesi aperta a proposito di un dettaglio è spesso non meno estesa della
dissertazione vera e propria sul soggetto.
Le basi
della Religione sono già stabilite, e i principi in essa della salvazione
sottoscritti da tutti; non restano molte controversie per cui valga la pena di
eccitarsi, benché nessuna sia mai stata svolta diversamente, e non solo in
Teologia, ma non meno che nelle arti inferiori o superiori.
È triste
vedere i grammatici menare colpi a destra e a manca per il caso genitivo in
Jupiter?
Quanti
sinodi non sono stati convocati, per sciogliersi poi irosamente a causa di un
verso in Propria quae Maribus?
E come
non si rompono la testa di salvare quella di Prisciano?
Si foret in terris, rideret Democritus.
Sì, anche
fra i militanti più saggi, quante ferite non sono state inflitte, quante
reputazioni macchiate per la meschina vittoria di un’opinione o la misera
conquista di una distinzione?
Gli
studiosi sono gente pacifica, non portano armi, ma le loro lingue sono più
taglienti del rasoio di Azio, le loro penne hanno una maggiore portata, e
rintronano più forte del tuono; meglio quindi essere esposti alla scossa
provocata da un basilisco che alla furia di una penna spietata.
Non è per
semplice zelo per la cultura, o devozione per le Muse, che i principi più saggi
proteggono le arti e considerano con spirito indulgente gli studiosi; ma perché
desiderano che questi eternino il loro nome inserendolo nei loro scritti, e per
tema della penna vendicatrice delle successive età: poiché sono questi gli
uomini che, allorché essi avranno rappresentato la loro parte e saranno giunti
al loro exit, dovranno farsi avanti a
pronunziare la morale delle loro scene, e a tramandare ai posteri un inventario
dei loro vizi divenuti le loro virtù.
E
indubbiamente ci vuole una buona dose di coscienza per compilare una Storia:
non vi è censura per lo scandalo di una Storia; questa è un tipo di falsità
talmente autentico che diffama autorevolmente il nostro buon nome presso tutte
le nazioni e presso i posteri…
(T.
Browne)
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