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Spero (1)
Prosegue con...:
il Capitolo quasi completo [3]
Seguito dall'ascensione della Vergine (4)
Il
Sole tramontava più piccolo di quanto siamo soliti a vederlo; fremiti armoniosi
sconosciuti alla Terra scorrevano per l’aria, e insetti grandi come uccelli si
aggiravano e volteggiavano su alberi senza foglie, coperti di giganteschi fiori
rossi. Io mi levai scattando dalla meraviglia a guisa di una molla d’acciaio, e
in modo sì energico da trovarmi d’un subito in piedi, sentendomi d’una
singolare leggerezza. Avevo appena fatti alcuni passi che più della metà del
peso del mio corpo parvemi fosse evaporata durante il sonno; e questa
sensazione intima mi colpì ancora più profondamente della metamorfosi della
natura che si stendeva davanti a miei occhi.
Già
le stelle più scintillanti si accendevano negli spazi celesti, e vi si
riconoscevano Arturo dai raggi d’oro, Vega, così bianca e pura, i sette astri
del settentrione, e molte costellazioni zodiacali. La stella della sera, il
nuovo Espero, mandava i suoi raggi allora nella costellazione dei Pesci. Dopo
aver studiato per alcuni istanti la sua posizione
nel cielo, ed essermi orientato io stesso dietro la scorta delle costellazioni,
dopo aver esaminato i due satelliti e riflettuto sulla leggerezza del mio peso,
non tardai a farmi convinto che io mi trovavo sul pianeta Marte e che quella
vaghissima stella della sera era... la Terra.
I miei occhi s’arrestarono su di essa, impregnati di quel melanconico sentimento d’amore che stringe le fibre del nostro cuore allorché il nostro pensiero trasvola verso un essere prediletto da cui ci separa una crudele distanza, e contemplai a lungo quella patria in cui tanti sentimenti diversi si avvicendano e si urtano nelle fluttuazioni della vita, e pensai:
Com’è
deplorevole che gli innumerevoli esseri umani che abitano in quel piccolo globo
non sappiano ove sono! Essa è pur bella, questa minuscola Terra, così
rischiarata dal Sole, colla sua luna più microscopica ancora che sembra un
punto a fianco d’essa! Portata nell’invisibile dalle leggi divine dell’attrazione,
atomo errante nell’immensa armonia dei cieli, essa occupa il proprio posto e si
libra nelle regioni aeree come un’isola angelica, ma i suoi abitanti lo
ignorano.
Singolare
Umanità!
Essa
ha trovato la terra troppo vasta, s’è divisa in gruppi, e passa il suo tempo a
combattere, uccidendosi gli uni gli altri come se nulla fosse. Vi sono in quest’isola
celeste altrettanti soldati quanti abitanti! Essi sono tutti armati gli uni
contro gli altri, mentre sarebbe stata cosa sì semplice il vivere
tranquillamente, e trovano glorioso il cangiare di tratto in tratto i nomi dei
paesi e il colore dei vessilli.
È questa l’occupazione favorita delle nazioni e la prima educazione dei cittadini: e da ciò in fuori impiegano la loro esistenza ad adorare la materia. Essi non apprezzano il valore intellettuale, rimangono indifferenti ai più meravigliosi problemi della creazione e vivono senza scopo.
Peccato
davvero!
Ah!
S’essi potessero vedere la Terra da qui, con qual piacere vi ritornerebbero e
quanto ne andrebbero trasformate tutte le loro idee generali e particolari!
Conoscerebbero essi almeno il paese che abitano, e sarebbe già un buon
principio: studierebbero progressivamente le realtà sublimi che li circondano
invece di vegetare sotto una nebbia senza confini, e vivrebbero bentosto della
vera vita, della vita intellettuale!
Quali onori gli rende! Si direbbe
davvero ch’egli abbia lasciato più d’un amico in quel bagno da forzati laggiù!
Io non avevo parlato punto, ma udii assai distintamente quella frase che sembrava rispondere alla mia conversazione interiore.
Due
abitanti di Marte mi stavano guardando, e mi avevano compreso in virtù di quel sesto
senso di percezione magnetica di cui si è detto più sopra. Io fui alcun poco
sorpreso, e, lo confesserò dunque, piuttosto ferito dell’apostrofe:
‘Dopo
tutto, pensai io, amo la Terra; è il mio paese ed ho una certa dose di patriottismo!’
I
miei vicini risero questa volta tutti e due insieme.
Sicuro – riprese l’un
d’essi con una bontà inattesa – voi avete
del patriottismo, e si vede bene che voi venite dalla Terra.
E
il più anziano aggiunse:
Lasciate dunque laggiù i vostri
compatrioti! Essi non saranno mai né più intelligenti né meno ciechi d’oggidì.
Sono ben ottantamila anni che si trovano a quel punto. E, l’avete confessato
voi stesso, non sono ancora capaci di pensare!...
Voi siete veramente ammirabile nel
guardare la Terra con occhi così inteneriti, ma via, c’è in ciò soverchia
ingenuità!
Non vi siete mai, lettori, incontrati talvolta con qualcuno di quegli uomini tutti invasi d’un imperturbabile orgoglio e che si credono sinceramente e in modo irremovibile al disopra di tutto il resto del mondo?
Allorché
questi fieri personaggi si trovano in faccia a una persona di merito superiore,
essa riesce loro esternamente odiosa, e non ne sopportano la presenza.
Ebbene!
Durante
il ditirambo che precede (e di cui non venne data poco fa che una pallida
traduzione), io mi sentivo assai superiore all’umanità terrestre dopo di che
prendevo a commiserarla ed invocavo per essa giorni migliori.
Ma
allorché quei due abitanti di Marte sembravano commiserarmi alla loro volta, ed
io credetti riconoscere in essi una fredda superiorità a mio riguardo, fui per
un istante uno di quegli inetti orgogliosi, e pur contenendomi per certo resto
di garbatezza, aprii la bocca per dir loro:
‘Dopo
tutto, signori, gli abitanti della Terra non sono così stupidi quanto voi
sembrate crederlo e valgono forse assai meglio di voi’.
Sgraziatamente, essi non mi lasciarono nemmeno incominciare la mia frase, poiché l’avevano indovinata mentre si formava per mezzo della vibrazione del midollo del mio cervello.
Permettetemi innanzi tutto di dirvi
fin d’ora,
fece
il più giovane,
che il vostro pianeta è assolutamente
deficiente, per effetto di una circostanza che data da una decina di milioni d’anni.
Era nel tempo del periodo primario della genesi terrestre. Vi erano già piante
e piante ammirabili in gran numero, e nel fondo dei mari come sulle rive
apparivano i primi animali, i molluschi senza testa, sordi, muti e sprovvisti
di sesso.
È noto che la respirazione basta agli
alberi pel loro integrale nutrimento e che le querce più robuste e i cedri più
giganteschi del soggiorno terrestre non hanno mai nulla mangiato, ciò che non
tolse loro di farsi grandi e vigorosi, – nutrendosi essi per mezzo della loro
respirazione.
Disgrazia e fatalità vollero che un primo mollusco avesse il corpo attraversato da una goccia di acqua più densa dell’ambiente in cui viveva, e forse ciò riuscì di suo genio. Fu l’origine del primo tubo digestivo, che doveva esercitare un’azione sì funesta sull’animalità tutta quanta, e più tardi sulla stessa umanità.
Il primo assassino fu il mollusco che
ebbe a mangiare.
Qui non si mangia, non si è mai
mangiato, né si mangerà mai. La creazione vi si è svolta gradatamente,
pacificamente, nobilmente com’essa aveva incominciato. Gli organismi si
nutrono, o come si dice altrimenti rinnovano le loro molecole per mezzo di una
semplice respirazione, come lo fanno i vostri alberi terrestri, ogni foglia dei
quali è un piccolo stomaco.
Nella vostra cara patria, voi non
potete vivere un sol giorno se non uccidendo. Fra di voi la legge della vita è
legge di morte; qui invece non è mai venuto a nessuno l’idea di uccidere
neppure un uccelletto.
Voi siete tutti, dal più al meno,
veri macellai.
Avete le braccia piene di sangue e i vostri stomachi sono rimpinzati di cibo. In qual modo volete voi che, con organismi così grossolani quali i vostri, possiate avere idee sane, pure, elevate – e dirò anche (vogliate perdonare la mia franchezza) idee pulite?
Quali anime potrebbero abitare corpi
consimili?
Riflettete dunque, un istante, e non
cullatevi più di cieche illusioni troppo ideali per un tal mondo!
‘Come!’
–
scattai io interrompendo –
‘ci
rifiutate voi dunque la possibilità di avere idee pulite, e prendete forse gli
esseri umani per animali? Omero, Platone, Fidia, Seneca, Virgilio, Dante,
Colombo, Bacone, Galileo, Pascal, Leonardo, Raffaello, Mozart, Beethoven, non
hanno essi mai avuto alcuna aspirazione elevata?
Voi
trovate i nostri corpi rozzi e disaggradevoli, ma se aveste visto passare a voi
davanti Elena, Frine, Aspasia, Saffo, Cleopatra, Lucrezia Borgia, Agnese Sorel,
Diana di Poitiers, Margherita di Valois, la Borghese, la Tallien, la Récamier e
le sue meravigliose rivali, pensereste forse in modo differente.
Ah! caro Marziano, permettetemi alla mia volta di rimpiangere che non conosciate la Terra che assai da lunge’.
V’ingannate; io ho abitato cinquant’anni
in quel mondo; ciò mi è bastato, e non vi farò certo ritorno. Tutto vi è mal riuscito,
perfino... quel che vi sembra più seducente.
Vi immaginate voi dunque che su tutte
le Terre del Cielo, i fiori diano vita ai frutti nello stesso modo?
Non sarebbe cosa un po’ crudele?
Quanto a me, amo le margherite e le
rose in bocciolo.
‘Ma’
– ripresi io –
‘vi
furono nondimeno, e contro ogni malvolere, grandi intelligenze sulla Terra e
creature veramente sorprendenti. Non è lecito forse cullarsi nella speranza che
la bellezza fisica e morale andrà perfezionandosi sempre più, come fece sin
qui, e che le menti umane si faranno progressivamente sempre migliori?
Non si passa tutto il tempo della vita intenti a mangiare, e gli uomini finiranno pure, nonostante i loro lavori materiali, per consacrare ogni giorno alcune ore allo sviluppo della loro intelligenza. Allora, senza dubbio, non continueranno più a fabbricare piccoli dèi a loro immagine, e fors’anche sopprimeranno essi le loro puerili frontiere per lasciar regnare l’armonia e la fraternità’.
No, amico mio, giacché se lo
volessero, essi lo farebbero già fin d’ora.
Ora essi se ne guardano bene!
L’uomo terrestre è un animaletto che
da una parte non prova più il bisogno di pensare, non avendo neppure l’indipendenza
dell’anima, e che, d’altra parte, ama battersi e fonda netto e schietto il
diritto sulla forza.
Tale è il suo buon piacere, e tale è
la sua natura.
Non farete mai che una fronda di biancospino abbia a portare pesche. Pensate dunque che le più vaghe ed incantevoli bellezze terrestri a cui faceste allusione testé, non sono che mostri grossolani a petto delle nostre aeree donne di Marte che vivono dell’aria delle nostre primavere, dei profumi dei nostri fiori, e sono sì voluttuose, nel solo fremito delle loro ali, nel bacio ideale d’una bocca che non mangiò mai, che se la Beatrice di Dante fosse stata di tale natura, non mai l’immortale fiorentino avrebbe potuto scrivere due cantiche della sua Divina Commedia: egli avrebbe incominciato il suo poema dal Paradiso e non ne sarebbe mai disceso.
Pensate dunque che i nostri
adolescenti hanno altrettanta scienza innata quanto Pitagora, Archimede,
Euclide, Keplero, Newton, Laplace e Darwin dopo tutti i loro laboriosi studi; i
nostri dodici sensi ci mettono in comunicazione diretta coll’universo; noi
sentiamo di qui, a cento milioni di leghe, l’attrazione di Giove che passa e
vediamo ad occhio nudo gli anelli di Saturno: indoviniamo l’approssimarsi d’una
cometa e il nostro corpo è impregnato dell’elettricità solare che mette in
vibrazione tutta la natura.
Non vi sono mai stati qui né fantasmi religiosi, né carnefici, né martiri, né divisioni internazionali, né guerre; ma, fin dai suoi primi tempi, l’umanità, naturalmente pacifica e affrancata da ogni bisogno materiale, ha vissuto indipendente di corpo e di mente, in una costante attività intellettuale, elevandosi senza tregua nella cognizione della Verità.
Ma venite piuttosto fin qui.
Io
feci alcuni passi coi miei interlocutori sulle cime della montagna, e giungendo
in vista dell’altro versante, scorsi una moltitudine di luci dai diversi colori
che danzavano vagamente nell’aria.
Erano
gli abitanti che, nelle ore di notte, divengono, quando lo aggradiscano,
luminosi.
Carri
aerei, che parevano formati di fiori fosforescenti, traevano seco orchestre e
cori, e venendo uno d’essi a passarci vicino, vi prendemmo posto in mezzo ad
una nube di profumi. Le sensazioni ch’io provavo erano in modo singolare
estranee a tutte quelle da me gustate sulla Terra, e quella prima notte su
Marte passò come rapido sogno, in quanto che, all’aurora io mi trovavo ancora
nel carro aereo intento a discorrere coi miei interlocutori, coi loro amici e
colle loro indefinibili compagne.
Quale
panorama allo spuntar del Sole!
Fiori, frutti, profumi, palazzi da fate si ergevano sopra isole dalla vegetazione aranciata; le acque si stendevano quali limpidi specchi e gaie coppie aeree discendevano danzando a volo su quelle rive incantatrici. Là, tutti i lavori materiali sono compiuti da macchine e diretti da alcune razze animali perfezionate, la cui intelligenza è press’a poco della stessa natura di quella degli abitanti umani della Terra.
Gli
abitanti di Marte non vivono che di puro spirito e per lo spirito; il loro
sistema nervoso è giunto ad un grado tale che ognuno di quegli esseri, ad un
tempo oltremodo delicato e di gran vigoria, sembra un apparecchio elettrico, e
che le loro impressioni d’ordine sensitivo, risentite assai più dalle loro
anime che non dai loro corpi, sorpassano del centuplo tutte quelle che i nostri
cinque sensi terrestri possano mai offrirci...
Una
specie di palazzo d’estate, illuminato dai raggi del Sole sorgente, s’apriva al
disopra della nostra gondola aerea, e la mia vicina, le cui ali fremevano
d'impazienza, posò il suo piede delicato su un cespo di fiori che si levava tra
due zampilli di profumi.
Ritornerai tu sulla Terra?
disse
ella tendendomi le braccia?
‘Giammai!’
gridai
io...
E
mi lanciai verso di essa...
Ma,
in quel medesimo istante, mi ritrovai solitario, presso il bosco, sul versante
della collina ai cui piedi serpeggiava la Senna dai giri tortuosi.
Giammai!...
ripetei io, cercando di raccogliere il dolce sogno dissipatosi.
Dov’ero
io dunque?
Oh!
era pur bello!
Il
Sole era appena tramontato, e già il pianeta Marte, allora splendidissimo, s’accendeva
nel cielo.
Ah!
feci
io, attraversato quasi da un baleno fugace
io ero là!
Cullati
dalla medesima attrazione, i due pianeti vicini si guardano attraverso lo
spazio trasparente. Non avremmo noi, in questa fraternità celeste, una prima immagine
dell’eterno viaggio?
La
Terra non è più sola nel mondo. I panorami dell’infinito incominciano a dischiudersi,
e si soggiorni qui od altrove, noi siamo, non i cittadini d’un paese o di un
mondo, ma, per vero, i cittadini del Cielo.
(C. Flammarion)
[Prosegue con il Testamento di Spero, ovvero il capitolo quasi completo]
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