Precedenti capitoli:
Dell'ascensione della Vergine (4/17) & [5]
Prosegue con la...:
Terra trasformata (6)
& al Sant'Elia (7)
& Con i fiumi che... (8/9)
Dissacrare valenti coraggiosi impavidi esploratori, non certo ad immagine di Ulisse, non dovrebbe far parte dell’indole del buon ‘uomo’ evoluto dato dall’accrescimento del mito approdato al senso antropologico del ‘simbolo archetipico’ della perenne conquista, così come la vita, dettata dai rigidi canoni della sopravvivenza di un certo universale istinto, di cui l’uomo ne sembra la ‘summa’.
Giacché
si dica sussiste differenza nel dogma della conquista riflessa nel vasto mondo
della sopravvivenza.
Certamente
sopravvive il più forte e capace in simmetrica conquista dettata però dai
principi regolatori nel motivo psico-fisico dell’imprescindibile legame con la
Terra conquistata o da conquistare. Ovvero regna distinguo fra un indigeno, sia
questo un eschimese o un pigmeo, ed un uomo del tutto civilizzato ma quantunque
estraneo agli usi e costumi compresi gli avversi climi, con i quali deve
confrontarsi convivere, e di conseguenza, - anche momentanea nella breve o
lunga durata della conquista - adattarsi, e quindi sopravvivere.
La genetica psico-fisica in tal proposito ci insegna qualcosa di non trascurabile, ma sicuramente rilevante al fine della sopravvivenza dell’adattamento nella mutabilità data dalla summa dei fattori esposti ai nuovi esterni, i quali anche se conosciuti e ben calcolati, nelle nuove latitudini divise fra diverse albe e tramonti, creano una barriera psicologica e fisiologica notevole fra l’improvvisato, anche se ben organizzato, conquistatore o viaggiatore, e l’abitante del luogo.
Rasmussen
il noto antropologo da madre eskimese ci insegna qualcosa in tal proposito.
Tutto
ciò detto facente parte del ‘dogma’ di cui parleremo in seguito.
Semmai
l’intento nel dissacrare l’inutile dubbia conquista verso la difficile polarità
di un Elemento, e non in conformità con lo stesso, il quale per sua Natura
rappresenta o dovrebbe, l’evoluzione istintuale dell’Universo data da una
precedente conquista della ‘materia’ in cui la polarità come gravità
rappresentano fenomeni fisici con cui riconosciamo il miracolo della vita, riflessa
nell’altrettanto indubbia conquista della propria evoluzione corrisposta ai ‘rigidi
climi’ dell’uomo.
Taluni popoli nativi sono riusciti in questa difficile convivenza nella reciproca adattabilità in cui l’uomo, il selvaggio, l’animista, il pagano, si è inchinato e piegato sino nello Spirito più remoto e profondo, divenuto oracolo e Sciamano connesso con la sua amata Natura. Mai violata, neppure del tutto conquistata sottomessa o violentata, semmai udita e amata così come l’intera voce della Terra interpretata da diversi opposti archetipi con cui coniata la civilizzata civiltà, nell’impropria o propria moneta restituita e coniata. Ovvero, questa moneta l’inutile sterco della terra neppure capace di concimare la più piccola porzione d’una predata zolla di Terra.
Dacché
rovesciando la ‘prospettiva’ evidenziamo quanto sia difficile per tutta la
Natura, specchio dell’Universo di cui un probabile Dio indiscusso Architetto,
conquistare il freddo asettico impervio cuore dell’uomo. Seppur impareggiabile
nella propria velata o boreale scenografia con cui si cura e mostra, nello
specchio del gelido sudato affranto volto dell’uomo, che pur non vedendo
l’ammira, ovvero non scorgendo il volto della Beatrice (Gaia Terra), in procinto della vera conquista, dispiega
Pensiero e Parola nella polarità d’un remoto silente silenzio, ispirare l’amore
confuso nel riflesso d’un freddo gelido sentimento, simile al fragore
dell’Universo, ogni qual volta muta, cinge il nuovo abito di scena qual scettro
del Dominio del proprio violato Regno, specchiarsi nel gelido affranto volto
dell’uomo sopraffatto dal gelido tormento della strofa finale, fra dolore e
piacere, estasi e tormento, rimpianto e amore, circa la lotta della ‘possessione’
divenuta ossessione conforme alla venuta.
Chi posseduto, e chi al contrario, principio della conquista, in questo specchio rovesciato circa la prospettiva, ove l’uomo in genere freddo più del ghiaccio, duro più dell’oceano solcato, inerme e impenetrabile.
La
Natura di certo a stento riesce a conquistare il gelido amore dell’essere
approdato alle proprie magnetiche latitudini quali veli d’un remoto Tempo
apparentemente naufragato come stratificato, da quel gelo si sprigionerà fuoco
circa l’indole della Natura scritta nella evoluta volontà della perfezione di
cui si cinge ed orna; ma il gelido polare viandante, freddo più del suo freddo
respiro, gelido nell’ingordo intento contare l’esercizio del sessuato
esercizio, accompagnato da acrobatici artifizi, di cui la Beatrice conquistata digiuna nella propria lunatica natura.
Il
freddo e gelido polare essere, il quale si riconosce dall’alito inferocito e appestato colmo di
sulfureo fumo, annebbiato dall’ulcerata vista, a stento viene conquistato dalla
più sobria umile Beatrice, la quale
nulla potrà mai contro l’impossibile fredda indole dell’uomo, al massimo la
potrà possedere nei brevi intermittenti istintuali ‘atti’ senza amore e
sentimento, con cui la precoce inattesa ‘venuta’ sarà coronata nell’impossibilità
della consapevolezza di possederla, padrona dell’immutata quanto impareggiabile
primordiale assoluta bellezza.
Solo fugaci deliranti scatti, consumati da un remoto riparo ad una grotta, ove le gesta dell’amore divenuto sessuato atto senza calore. L’uomo freddo più del ghiaccio, con cui Lei lo guarda e adora nella tormenta d’una bufera qual bacio d’una carezza, lo ammira e desidera la tormenta si fa di nuovo bufera, nell’improbabile impresa consumata.
Frammentati
bipolari monocromatici colori rimarranno qual muti testimoni dell’amplesso con
cui la Natura tentò l’amore verso il gelido freddo uomo, hora tormentato
dall’impotenza dell’èstasi della conquista senza venuta alcuna.
La
Conquista non sarà mai consumata colpa, seppur la grande potenza,
dell’impotenza con cui la differenza nella misura della corsa, dalla velata
frastagliata costa d’una immobile lunga gamba dura e soda come una roccia
antica, il quale uomo intravede e sogna. Poi più su fino al bianco seno, ove il
gelido essere l’accarezza in vogliosa tentazione dell’acclamato trofeo per i
geni della conseguente futura prole. Purtroppo, seppur l’immane sforzo, la
palpitante Beatrice mai saprà
conquistare l’amore del prescelto corteggiatore o paladino, freddo e impotente
di fronte a così tanta troppa eterna immacolata bellezza, sciogliersi in un
ultimo scomposto gelido frammento d’una summa di frammentate parole, muto al
riparo della tenda cogitando l’impotenza dell’amore!
Dacché l’ultima rappresentazione esposta di suddetta conquista, ovvero quella di Andée, rievoca un prometeico fallico intento, per l’appunto, non del tutto consumato seppur preservato in fallo, nel motivo dello stesso così sfarzosamente annunziato. Che la preservata sicurezza non abbia nutrito la certezza, semmai deluso la Conquista, questo fuor di dubbio circa la dedotta impotenza, seppur celebrata con sfarzosa magnificenza, così come si è soliti rappresentare ogni scelto paladino dai tempi d’un èvo antico.
L’unica
ascensione celebrata dell’inviolata immacolata Vergine, in cui il navigato paladino precipitato e non più elevato
nei dogmi dell’ascensione che la contraddistingue, o ancor meglio naufragato,
sarà dedotta dalla casta impotenza in cui il digiuno dello spirito conforme
alla materia, ne farà un eroe della futura sessuata violenza, in nome dell’economica
dottrina per ogni successiva conquista esposta ai nuovi sulfurei elementi da
cui trarre e dedurre l’equazione della potenza da chi impotente per propria
natura.
La Vergine sarà violentata dall’impotente di turno, e la potenza di Lei sarà cibo e dottrina d’ogni titano della Terra.
Con
cui l’intera vicenda sarà esposta, o corrisposta nei trasfigurati rigidi dogmi
storici, eclissati e abdicati alla anamorfica vendetta delle successive
conquiste, dove la nostra Beatrice
sarà violata e sfregiata della magnifica bellezza ove nuda si mostra, senza
riserva alcuna circa l’amore con cui solitamente vien edificata la conquista
del gelido freddo uomo, solo adamitica primordiale discendenza, mai (per l’appunto) conquistata o presieduta
nella prospettiva della Ragione con cui la Natura giammai riuscita nell’intento
di esaudirla, o ancor meglio appagarla, nella limitata consumata veloce
impotenza umana, divenuta dottrina Economica sottratta all’amore con cui ogni Beatrice adornata della sua elevata
bellezza, giammai amata, solo violentata dall’impotenza divenuta forza!
Da questo ‘patto’ mai per il vero consumato nel celebrato matrimonio, appare solo una fredda gelida disturbata pugna data dall’impotenza. Scellerato peccato di ogni regno umano dal quale è derivato il Fine ultimo del prezioso commercio pugnato (dato dal costante andamento masturbatorio), o corsa all’età dell’oro, quando questa, in verità e per il vero, da tempo tramontata, e se ancora in vita, per unanime principio evolutivo consumato in ugual medesima pugna, comunque scritto nella falsa limitata ragione del progresso da cui nulla nato, giacché ben sappiamo che nel pugnare nulla vien seminato, contraddistinto come coltivato con la più spietata ed ingorda ferocia del disturbato atto.
Così, seppur il dramma, sia di Andrée come di Scott, assumono univoche tinte erotiche quanto eroiche, io per mia Natura affine, tanto alla neve e al gelo, quanto agli dèi prima, ad un solo dio dopo (concernenti le simmetriche Stagioni offerte in dono all’ultimo uomo), che così bella l’ha creata, pura vergine ed immacolata, dissacro e ricompongo l’intera Scena, l’intera tragedia rappresentata fors’anche mai ammirata, seppure da tutti pianta e applaudita come annunziata così come identica copiata e replicata. Consumata alla cieca vista degli scomposti frammentati atti, assoggettati e testimoniati dai tanti padri e dèi prima, e il Figlio dopo, circa la violentata profanata figlia, da cui la gelida natura umana inscenata e giammai conquistata.
Nel
tradurre i termini sacri e dissacrati di tutti coloro, i quali, converrebbe
anche il Mazzotti, edificano le
proprie ed altrui ‘formule’ del dominio, continuamente rinnovate e portate al
beneficio dell’incolta massa, quale record accompagnato da una nuova via,
ovvero dallo spigolo sino al baratro del precipizio, in cui si inabissa e
naufraga l’intera avventura umana; rimembro a me stesso meco, o all’altrui intento, seppur mi contrasta con o senza
Ragione, che l’uomo da quando nato (così
come ogni essere che l’ha preceduto) procede accompagnato da siffatta
indole nell’istinto della conquista (disgiunta
dall’evoluzione), altrimenti saremmo al pari, o peggio e al di sotto, da
ciò da cui evoluti. Replico (meco a me
stesso) ciò che avvenuto, anche se alcuni dicono al fine del beneficio,
avrebbe dovuto migliorare le successive stratificazioni dell’uomo.
Ovvero dall’atto sessuato si sarebbe dovuti procedere verso una Metafisica dell’èstetica pura!
Così
come si addice ad ogni asceta vero amante della Natura….
Ovvero
dall’amore più o meno consumato nella forza come nel desiderio di bellezza,
sarebbero dovuti nascere del pargoli, dei piccoli dèi avversi ai titani. Invece
forza e impotenza evolvere l’intera tragedia consumata dall’incolta stirpe dei
titanici intenti della violentata conquista. Come tutto ciò sia potuto e accade
ancora rimane scritto nel regno della pugnata violenza affine all’economia
della libera licenza del corpo con cui Gaia
viene prostituita. La Vergine dunque
afflitta dal morbo d’un’istinto del tutto ‘umano’ mai desiderato, nell’amore
accompagnato dal Destino più profondo
e naturale con cui solitamente ogni Beatrice
viene rimembrata come amata.
Ovvero, seppur vero come una bibbia che le rotte commerciali (con tutto ciò che procede e va alla deriva) cercavano - così come tutt’hora - bramando una nuova via più breve della prima, per rendere il viaggio e la conquista economicamente più propizia e sicura, da questo mitologico e materiale istinto d’evirazione dell’amato desiderio divenuto cieco istinto, nascerà un fedele eunuco, sicuro compagno di ogni bianca veglia annunziata nel regno della segreta terra, per mille più una notte in offerta & in omaggio con lo schiavo della stiva, desiderato anche lui nell’immane fatica della mancata impotente conquista, con cui si è soliti distinguere in vita l’amore da una vasta ammucchiata affine alla stessa, nell’apocalisse delle successive progenie in attesa della definitiva disfatta della vera orgia - oppure - dottrina economica.
I
porti colmi di suddette innominate orge per mille e una notte in offerta!
I
fuochi sulfurei accompagnati da culti dionisici vengono propiziati da celebranti
di perenni culti fallaci, ed ove il pozzo della dea orfica viene rinnovato nel
mitologico antico ‘patto’, così come impone la segreta dottrina, d’ogni barile al greggio della ‘disciplinata-disciplina’
variare la promessa così come il prezzo della stessa nella celebrata previsione
per tutti i celebranti della vita. Ed ove viene portato in perenne processione
il dio della terra, senza più Madre né figli, solo distillati Titani rivenduti
e ridistribuiti immolare un fumo lieve elevarsi dal prometeico campo, ove si
scorge da lontano il monte in fallo, rivolto al perenne culto dei celebranti in
salita così come articolata inarticolata discesa distinta nello stile
dell’accento…
Il gigante titano ogni tanto vince la coppa promessa!
E rimembra gli antichi tempi del graal, quando si andava alla Foresta della Selva abbattuta fino all’ultima miniera scavata nella dura roccia, giostrare la vigilata libertà per ogni spada forgiata - in nome e per conto - della pugnata civiltà S.P.A. a responsabilità limitata…
I
mercanti uniti e congiunti ai mercenari della pugna rimembrano l’agognata
conquista celebrata fino all’ultima botte della grande tavola imbandita più
quadra che tonda!
Questione
di partita doppia!
Credo
però, sembra in Ragione di ugual motivo saturo di innestate merci falliche
ancorate ai porti del domani, che forse l’uomo dovrebbe imparare i sani
rapporti e principi regolatori nei quali disconosciamo l’inutile dominio della
violentata Natura, nel saper appunto, gestire il bene o l’amore con cui si è
soliti convivere nell’armonia così come l’unione che ne deriva, e di cui Lei
veramente abbisogna per la necessaria conquista dettata dalla passione, e non
certo dall’impotenza mascherata dalla falsa potenza esercitata senza alcun
arbitrio circa la Vita di cui Lei ci ha fatto dono per conto dell’afflitto
disconosciuto Padre.
In quanto ultimo secondo dato dal cronometro senza più barometro solo un termometro per misurare la nuova febbre dell’oro giallo, la regola dell’indomita conquista sprovvista del principio di Natura, il benessere dovuto dato dalla formula dell’eroe in procinto dell’atto divenuto epica tragedia, sembra restituire repliche allo stesso palcoscenico.
Quindi
seppur il morbo impone la corsa, credo che il banchiere, ogni banchiere del
Tempo da cui l’eterna giostra, così pregata, non abbia ben compreso il
principio su cui poggia l’intera Architettura, se fosse vero il contrario, non
assisteremmo inermi allo sfacelo dell’intera Natura (e non solo umana), accompagnata dal morbo del Secolo ogni Secolo
narrato come conservato immutato.
Ed anche se queste parole, solo vani ‘pittogrammi’ derisi dall’intero popolo assiso nella grotta, il quale applaude, sia l’avventura in nome e per conto del progresso, non meno della successiva celebrata conquista, replicate negli ‘atti’ della Storia per ogni teatro; ben poco comprende la Commedia o Satira di cui doppiamente oggetto. Ed anche se applaude e talvolta piange commosso, poco o nulla ha compreso della doppiezza inscenata divenuta farsa. In quanto non certo l’evoluta conquista vien ‘replicata’, semmai recitata la maschera della stessa eterna ‘replica’; e censurata, di conseguenza, la vera vana pretesa interpretativa della dedotta conflittuale velata celata tragedia, che lo specchio impone, quale vera immagine riflessa dell’uomo che si ammira nel palcoscenico dell’immutata Storia.
La maschera impone gli sfarzosi ornamenti di scena i quali, l’effetto del progresso dato, così come annunziato dal ciclopico fotografico oculo, in sostituzione della più nobile e defunta arte, ovvero tutto ciò a cui l’occhio specchio della corrotta anima, illumina e prefigura nel falso istinto dedotto dalla retina nell’impropria forma della ricchezza derivata come posseduta, subordinata alla Natura mai conquistata solo assoggettata, mai amata solo spiata dall’ingordo desiderio di farla propria.
O
meglio, potremmo anche a Ragione sostenere in compagnia della bella Beatrice, violentata dalla pugnata umana
impotenza da cui ogni conquista divenuta commedia, o se preferite, farsa, la
quale farsa divenuta tragedia assume tutti gli accenti della disturbata univoca
deviata caratteriale patologia, distinta dall’evoluzione data dal reciproco
amore, con cui si è soliti formare una famiglia, e da questa una dinastia
regale nata dal consumato amore dall’unione di coppia.
Lei nuda in trepida attesa di sfamare la sua sete per ogni Fiume, di appagare la sua fame, di riscaldare i suoi sonni così come Albe e Tramonti, in procinto di farsi ammirare in ogni Stagione come il più prezioso fiocco e fiore esposto ai rigori del gelo, così come in primavera ove nato un nuovo frutto, nel simmetrico disegno della Forma, delle linee, della universale crescita nella costante bellezza, o anche del contrastato rancore, con cui evolve il proprio ed altrui pensiero, il profilo, il volto, lo spirito sino alle più elevate Cime della simmetrica conquista, talvolta scritta anche nell’ira con cui si è soliti distinguere le Stagioni dell’amore per l’opera; Anima-Mundi la quale parla una lingua difficile posta nella gravità dell’Elemento, posta e coniugata in simmetrico cammino verso l’evoluzione dell’unione, e giammai dettata dal risentimento, con cui e per cui si contraddistingue l’uomo da Lei nato.
Dalla
violenza così come dall’incesto non potranno che nascere ed evolvere tutti i
titani della Terra.
Nessun commento:
Posta un commento