giuliano

mercoledì 1 gennaio 2020

IL MONDO ALLA ROVERSA (dedicato agli onesti se pur truffatori del vecchio e nuovo anno a venire) (3)





















Precedenti capitoli composti da...:

Buone maniere (pre e post) natalizie con delizie del G.C.C.

& l'immancabile girandola dei pazzi (2)













Questa mia (breve introduzione) dedicata a tutti quei bravi onesti truffatori, linfa spirito ed anima di codesta sofferta terra, primo articolo ‘spacciato’ per democratico lavoro privato di qualsivoglia onestà e decoro:

allerto la ‘difesa’ che l’offesa supera alla lunga la maschera con cui cinta la divisa!

La Verità carbone con cui allietare l’evento dell’anno mai arrivato o solo pensato…

Colgo l’occasione di porgere l’ardente fuoco a tutti coloro che calunniano il prossimo giacché traggono giusta pecunia nel mondo roverso così cantato - e non solo dall’Eretico - offrendo la brace alla Verità dispensata rimata e per sempre devotamente perseguitata:

…divenuta devota pecunia degli onesti guadagni, oltre che segreto godimento finché dritta e mai roversa la cupola del dio pregato per ogni Cristo divenuto peccato all’altare immolato…

Mi scusino i miei cari concittadini apostrofati se mi astengo dal ballo in maschera per ogni festa così mal celebrata…

…Preferisco diversa preghiera e bestia alla disgraziata materia così distintamente divorata…

…Alleata alla lumaca storica nemica del lombardo qui ferito, proteso e dismesso, ugual  terra del Napoleone esiliato e vigilato dall’alto pellegrinare nello spazio profondo nel mondo così avariato, lui che pur tutto intero lo vuol consumare e sacrificare…

…Rimembriamo la lumaca se ancor non consumata, sugo e sangue di codesta trista novella, sua acerrima nemica se pur attaccata risalir ancor più viva che morta i bordi della scodella avversare la polenta nell’aspra contesa ben maneggiata:

…povera umile sofferta tapina riparo d’un disperato approdato elmo calcato al roverso di come forgiato nell’immancabile maschera e divisa del futuro nazional padano consumato obeso esiliato all’altrui terra natia, interpretarne principio primo dal carrocciato avariato mezzo…

Maneggiar lenta la giostra giostrata altrimenti attacca la brocca dell’elmo del fu’ Scipio sconfitto e trapassato alla Scala dell’ultima disperata contesa tradotta anche in caratteriale cirillico amico con lardo aggiunto!

Il sugo all’elmo conteso prende vigore nonché colore, al comizio di Cesare vien preferito Cinque nobil cavaliere con le sue eterne padelle non ancor novelle…

…La lumaca ad intervalli aggrappata all’elmo nomina l’unno al luppolo assiso, aggiungere il wurstell della val pusteria là ove l’esercito meditò la Grande Prima!

E giammai fu detta sconfitta!

Il Secondo vien banchettato a legna finita quando al gas (dedotto) sarà servito l’arrosto!

Al roverso di sì vasta estesa geografia fin dentro la padella che gira, lui grande sovrano usurpato del trono cantare sacrificio a Giove mentre vaga nello spazio d’un sugo ben più profondo…

…Ed Al - il romano - ultimo modello della diletta Compagnia - vien varato dall’intera fregata dispensata dall’oracolo con civile dotta ignoranza mascherata da saggezza.

…L’ultima detta corre ed inciampa spensierata, lei la vera e sola esiliata, depredata di Tomo e Spirito, rivenduta al litro, o meglio, che dico, alla damigianetta dalla invisibile cantina, là oggi come ieri - al roverso del Tempo conquistato - si forgia sana duratura ignoranza e non solo in nome della tradotta panza rivenduta ubriaca per la girandola per conto della materia pregata.

Lo manico (della panza detta), vien trastullato e/o sconquassato (dipende molto dai punti dell’alto dell’inusuale Vista della innominata Compagnia) ad intervalli di misurato Tempo, ed ove ognun misura distanza fra il recto e il dritto della detta innominata bottega (sempre aperta).

…La Compagnia vien per ogni via: illumina la terra quanto il cielo del suo piacere divenuto universal diletto, le lucciole lo trattengono alla nobil bocca per decantar tanta civile bontà evaporata e schizzata per ogni via non ancor Galleria crollata.

…Come il lampo correre e divenir saetta l’impotenza precoce evaporata sulla terra così cantata nella secolare proverbiale viril potenza maneggiata…

Taluni astrologi legiferano et annunziano in dovuto mistero non ancor ministero che:

né piove, né urla bufera, solo mesto spirito inalato bevuto non men che - negli intervalli dei capaci interventi -, fumato…

…L’oste ne va fiero non men dello scudiero, la scuola sua gode di ‘profonda’ celebrata unanime cultura, dalla gola fino al ventre ballato e saltato in padella:

Viscere connesse e sacrificate:

…Unanime futuro desiderio d’ognun immolato rendere pubblico quanto di privato in cotal letame digitalizzato:

…Frammentato sospiro dal canone retribuito, ove ogni disturbato può – oltre che al meglio disturbare, misurare anche l’altrui grado di roversata retta pazzia, in intervalli di tempo prepagato:

…Quando le viscere esprimere al meglio  ugual tempo condiviso: destino e piacere in ciò cui digerito con medesimo ‘analitico’ appetito:

…Godimento travasato fra il trascorso ano direttamente alla bocca, in roversa confusione ove il rito consumato per il bene della pecunia e lo spirito può esser così boccaccescamente trattenuto e deglutito fondare sapore e seme della terra…

…E come fu detto in Principio ben maneggiato così come il lombardo e l’amata diletta sua lumaca…


…DEDICATO ALL’ILLUSTRISSIMO INNOMINATO MIO DOTTO SIGNORE LUCE D’UN MONDO MIGLIORE BEN MANEGGIATO NONCHE’ CURATO DALLA GIRANDOLA FINO AL PICO (DELLA MIRANDOLA) ULTIMO GENE DELL’INUMANA GENTE TRADOTTA E DALLA BESTIA DEDOTTO E ALL’HUMANO APPRODATO ED A VOI FINALMENTE DONATO… 







       







Ogn'un mi dice, tu sei sì barbuto,
Pallido in faccia, magro e scolorito,
E sempre vai d'un abito vestito,
Pensoso, solo, sconsolato e muto.

Un Eraclito ormai sei divenuto,
Nel duolo immerso; or chi ti tien supito
In tal miseria? Ché pur sei gradito
In ogni parte ove sei conosciuto?

Io rispondo a ciascun che la stagione
Empia dove noi siamo a ciò mi tira,
E mi dà di doler ampia cagione,




Però se 'l miser cor s'ange e sospira,
Vien che corrotte son l'usanze buone,
E ognun a l'util suo risguarda e mira

E ciascheduno aspira
Al guadagno, per dritta o torta strada,
E sol' attende a quel che più gli aggrada,

E più nissun non bada
Alla virtù, ma ognun gli fa contrasto,
Ché tutto il mondo è rovinato e guasto.




L'asin cavalca il basto,
Il rio villan nella città si serra,
E 'l pover cittadin zappa la terra,

La Pace dalla Guerra
E' stata uccisa, e dalla Crudeltade,
L'Amicizia, l'Amor e la Pietade;

E dalla Falsitade
La Fedeltà vien morta, e dall'Inganno
E l'Allegrezza estinta dall'Affanno,




L'Insolenza fa danno
Alla Modestia, e la Discortesia
Scaccia la Civiltà per ogni via.

E dalla Villania
La Gentilezza è offesa e la Creanza
E la Virtù sta sotto l'Ignoranza.

La perfida Arroganza
Conculca l'Umiltade, e l'Avarizia
Accieca e cava gli occhi a la Giustizia,




La Fraude e la Malizia
Spent'hanno la Bontà, l'Odio e lo Sdegno
Alla Benignitade han tolto il regno.

E con ira e disdegno
Vien morto e lacerato il Beneficio
Dall'empia Ingratitudine e dal Vizio,

Giace estinto il Giudizio,
Dall'Importunitade e dal Furore,
E la Vergogna supera l'Onore,




Dalla Viltà il Valore
Vien' oscurato e l'Obbedienza fugge,
Perché il Poco Timor le scaccia e strugge.

La Riverenza rugge
Vedendosi insidiata dal Dispregio,
E l'Infamia alla Gloria usurpa il pregio.

E 'l suo onorato fregio
Perso ha la Pudicitia onesta e pia,
Che spenta vien dalla Ruffianeria,




Morta dalla Bugia
Giace la Verità tutta straziata,
E dall'Adulation pesta e calcata.

La Gioventù sfrenata
L'Onestà sprezza, e segue l'Adulterio,
La Carne, il Senso, il Mondo e 'l Vituperio.

Il Biasmo e l'Improperio
Supera la Patzenza e la confonde,
E la Ragion dal Torto si nasconde,




E più per queste sponde
La Liberalità non fa dimora,
Perché l'empia Ingordigia la divora;

La pigrizia s'onora;
La Gola, il Sonno e l'oziose Piume
Hanno bandito ogni gentil costume.

Il Senno il suo bel lume
Ha perso, e la Prudenza può più poco,
Ché la Pazzia gli ha tolto il primo loco.




La Vanitade e 'l Gioco
L'Inerzia vile, e la Mormorazione
Spent'hanno affatto la Compassione,

E la Discrezione
Più non si trova in alcun luogo al mondo,
Perché la Crudeltà l'ha posta al fondo.

A tal, che 'l Mondo immondo
È tutto guasto, rotto e fracassato,
Per esser malamente governato.




Voltatevi in che lato
Volete, per la dritta o la traversa,
Ogni cosa si regge alla roversa.

La buona usanza è persa,
Com'ho già detto, e vedo il servitore
Voler' esser da più del suo signore,

La serva fa romore
Con la madonna, e spesso sta assettata,
Mentre ch'essa patrona fa bucata;




E ognor fra la brigata
S'ode quel che sa peggio ragionare
Non voler mai finir di cicalare,

E 'l zoppo camminare
Vuol più del dritto, e se gli mostra acerbo,
E più del ricco il povero è superbo.

Ancor non mi riserbo
Di dir ch'assai più brava uno stroppiato
Che non fa un valoroso e buon soldato,




E molto più trincato
È un fanciul di quattr'anni, e assai più astuto
Che non è un uom d'età vecchio e canuto.

E par vi sia un statuto,
Che tutti quanti quei c'han bel tacere,
D'infamar sempre altrui han gran piacere.

Ancor certe mogliere
Vi son, di s'insatiabile appetito
Ch'esser voglion da più del lor marito,




E s'ei non è assentito,
E che a la prima si lasci squadrare,
Voglion portar le brache e governare;

E gli fanno lavare
Fin' a i piatti, i catini e le scodelle,
E fregar le caldaie e le padelle,

E ancor, se pare a quelle
Che faccino bucata, essi la fanno,
Ed esse a pancia tesa se ne stanno.




E molte, che gli danno
Di buone busse, e i poveri castroni
Stan lì, come bagnati cornacchioni.

E non san che i bastoni
Son la miglior ricetta che s'accatti
Per frenar questi umor bestiali e matti.

Ancor forz'è ch'io gratti
La pancia alla cicala, e andar scoprendo
I vizi, ch'ogni dì vedo e comprendo.




E dir com'io l'intendo,
Per dimostrar con ordine e misura
Quant'oggi sia corrotta la natura.

Ché più semplice e pura
È' una donna di tempo maritata
Che non è una fanciulla scapestrata,

E a una troia foiata
Son fatti mille inchini e sberrettate,
E le donne da ben non son stimate.




Ed oggi più apprezzate
Son le lingue maligne e viziose
Che non son le fideli e virtuose.

E tutte queste cose
Procedono che 'l nostro naturale
Ha l'abito d'ogn'un piegato al male,

Né più v'è un uom reale,
Ma ognun attende all'utile e al guadagno,
E beato chi può farla al compagno.




La mosca piglia il ragno,
La lepre il cane, e la formica il tordo,
E tal la carca altrui, che par balordo.

Il nostro senso ingordo
Mai non si sazia, e la Ricchezza ria
Vorrebbe ognor veder la Carestia.

E tal va per la via
Che par messer Schivoso nella cera,
Qual poi ha in sen le carte da primiera,




E sta aspettar la sera
Per andar' a giocar alle baccane,
Alle bettole, ai chiassi, alle puttane.

Quante persone vane,
Che si fanno conscienza d'un quattrino
E poi rubano la notte un magazzino?

Quanti fan l'indovino
E predicendo van l'altrui venture,
Che conoscer non san le lor sciagure,




Né lor disavventure?
E quanti vanno attorno pitoccando
Che sempre han cento scudi al lor comando?

E quanti passeggiando
Fanno il grande con abiti pomposi,
Che son scritti fra i pover vergognosi?

Quanti fan gli amorosi,
I belli e i profumati con le dame,
Che poi la sera crepan della fame?




Quante vecchiette infame
A torto collo vanno, e a testa china,
Che poi portano i polli alla vicina?

Quanti sono in rovina
Andati, che non han speso un marchetto,
Per far un beneficio a un poveretto?

E tal fuori dal suo tetto
Fa il bell'umor, e tiene ognuno in spasso,
Che in casa sua poi sembra un Satanasso?




Quanti fanno il gradasso
E bravano a credenza tutto il giorno,
Che all'occasion si caccerìan in un forno?

Quanti han bei panni intorno,
Danari e servi, e buon cavalli in stalla,
Che gli starebbe meglio un sacco in spalla?

E s'un di questi falla,
Non v'è chi lo riprenda di niente,
Ché la roba fa l'uom parer prudente.




Quanti per accidente
Dalla fortuna son fatti felici,
Che ingrossano la vista ai loro amici?

Quanti a quaglie e pernici
Sguazzano a mensa e s'empiono il budello,
Che non credon la fame al poverello?

Quanti sopra il cappello
Portan pennacchi e voglion parteggiare,
Che farìan meglio andare a lavorare?




Quanti vanno a comprare
Dai loro amici, per aver vantaggio,
Che spendon più, ed han più scarso saggio?

Quanti vanno in viaggio,
Pensando che si sguazzi in gli altrui lati,
Che a casa tornan frusti e consumati?

Quanti si fan soldati
Per viver sullo scoppio e sulla spada,
Che lassan le reliquie per la strada?




E quanti dicon: “Vada
Il resto”, e san di tutti allegramente,
Che poi si van sbattendo fra la gente?

Quanti cortesemente
Prestano i lor denari a tali e quali,
Che gli son poi nemici capitali?

Quanti uomini bestiali
Senza giudizio alcun, senza ragione
Battono le mogli oneste e buone?




Quanti fan professione
Di rovinar' i figli di famiglia,
Col fargli far dei stocchi a tutta briglia?

E tale altrui consiglia,
Che se fosse suo conto, o fatto espresso,
Non lo farìa, per quanto val se stesso.

Quanti fanno un processo
De' fatti altrui, e sopra li banconi
Menan le gambe, e dan delle canzoni,




Ché, mentre sui cantoni
Tassano questo e quel di stolto e pazzo,
Ne le lor case altri si dà sollazzo?

Chi 'l taglia catenazzo
Fa con longhi mostacchi e faccia oscura,
Pensando che nel pel stia la bravura,

E mentre si procura
Far trecce, ricci, e transformarsi il viso,
Move per tal pazzie le genti a riso?




Quanti fanno il narciso
Che son pieni di cauteri e fontanelle,
E ammorban di pedane e san d'ascelle?

Quanti portan la pelle
D'agnello, e quando vengon maneggiati
Si scopron tanti lupi arrabbiati?

Quanti sono ingannati
Da certe dolci e belle paroline,
Sotto cui stan nascoste opre volpine?




Quanti aspettano al fine
A soccorrere un povero ammalato,
E quand'ei non ha più spirto né fiato?

Quanti, che mai errato
Non han, vengon puniti? Quanti ladri
Sguazzan giocondamente agli altrui quadri?

Quanti poveri padri
Prodotto hanno di figli una canaglia,
Che da lor mai non han quant'è una maglia?




Quanti vedon la paglia
Nell'occhio altrui, e gli par duro e grave,
Che ne' lor propri non vedon' il trave?

Quanti sotto la chiave
Tengon, né voglion dare il loro argento,
Se non ne cavan venti e più per cento?

Quanti per testamento
Lassan la roba a certi squaquaroni
Che poi tiran coreggie da poltroni




Privando spesso i buoni,
Onde i figli, i nipoti e le sorelle
Van poi tapini in queste parti e in quelle?

Quante fan le donzelle,
Le savie, le modeste, e le schivose,
Che pria chiamate son madri che spose?

E quante stomacose
Si scortican con lisci e con belletti,
Ch’han due spanne di cricca sui garretti?






Quanti cacazibetti
Fan l'amor di secreto, ch'in palese
Gli mangia poi il naso il mal francese?

Ed altri fa il cortese,
E il liberale con la roba altrui,
Che nol farìa, s'appartenesse a lui.

V'è ancor tal uomo a cui
Meglio fiorisce in bocca una bugia
Che mai parola dir che vera sia.





Quanti per mala via
Van, con le vesti lor fruste e stracciate,
Che son falliti per le sicurtate?

Quante mal maritate
S'odon rammaricar, quanti mariti
D'aver mai preso moglie son pentiti?

Quanti fan de' partiti
A questo e quello, e danno moglie a tale
Che sarìa meglio trarle in un canale?





Perché con tale e quale
Credon far parentado ed amicizia,
E fanno una perpetua inimicizia.

Quanti per avarizia
Portan più tosto i panni rotti indosso,
Che cavarsi di borsa un mezzo grosso?

E l'han tanto nell'osso,
Che quel ch'ai servi lor dovrìan donare,
Fin che pezzo ve n'è voglion portare,





E si fan rappezzare
Cento volte i giupponi e le calzette,
Roversar li cappelli e le berrette.

E se qualcun le smette,
Che non sian troppo fruste o troppo rotte,
Ne cavano pantofole per la notte.

Queste non son carotte,
Ch'io vedo tal berretta, alcuna fiata,
Che dieci volte è stata rivoltata.





O roba mal' usata,
Quante genti per te vanno in disperso,
Per seguirti pe'l dritto e pe'l traverso?

Il gallo fa un bel verso
Mentre fra le galline sta cantando,
Ma col pie' sempre indietro va raspando,

Così lo va imitando
L'amico finto, che bugie ti vende
Largo promette, e poi nulla t'attende.





O quanti fan faccende
Con il cervello e con la fantasia,
Ch'in fatti poi non san trovar la via?

Quanti fan mercanzia
Delle lor mogli e delle lor figliuole,
Lasciandone la cura a chi la vuole?

Quanti ti dan parole
E mentre tu gli attendi e che gli credi
Ti levano la borsa e non t'avvedi?





E quanti ganimedi,
Con que' suo bei collar' fatti a cannoni
Con l'amito, la salda e bei cresponi

Van facendo i pavoni
Portando il collo intiero a più non posso,
Che Dio sa poi s'hanno camicia indosso?

Quanti fanno all'ingrosso
Sguazzar le lor sgualdrine e le ruffiane,
Ed alle mogli mai non portan pane?





Quanti fan feste al cane,
Per amor del padrone, e dan covelle,
Che senza quel gli leverìan la pelle?

E quante artigianelle
Han quattro soldi in dote ed una cotta
Non crederiano alla regina Isotta?

E tal ti dà una botta
In testa, e tosto nasconde il coltello,
Che ti fa de l'amico e del fratello;





Chi ti fa bello bello,
E ride in bocca e par che t'accarezzi,
Che vorrebbe vederti in mille pezzi?

Altri par che ti prezzi
E ti lodi in presenza della gente,
Che poi dopo di te dice altrimente.

Altri ti fa il parente,
S'hai della roba, ma se sei mendico
Non ti conosce e non t'ha per amico.





Ma perché m'affatico
A voler dimostrar quel che si vede
S'ancora n'è di più che non si crede?

Basta ch'io facci fede
Che 'l mondo è guasto, e ch'ognun vuol' oprare
Al contrario di quel ch'ei dovrìa fare.

Però, s'io sto a penare
E s'ho d'ogni piacer perso la scrima,
Vien che 'l mondo non è com'era prima.

Perché più non si stima
Virtù, ma sol (ahi, che di duol' io scoppio)
Chi simula, chi finge e chi va doppio.

IL FINE

(G.C.C.)













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